I pensionati da lavoro che continuano ad avere un’occupazione regolare sono 444 mila, e non è così semplice capire se sia un bene o un male per il sistema paese. Da un lato viene da dire che chi non abbandona la poltrona occupa un posto che potrebbe essere di un giovane; ma dall’altro essi possono meglio supportare le famiglie dei loro figli nel far fronte alle spese. L’Italia si regge sempre più sulle pensioni. Stando all’ultima nota di Istat in merito, in Italia in quasi la metà delle famiglie è presente almeno un pensionato, e per questi nuclei i trasferimenti pensionistici rappresentano, in media, il 64% del reddito familiare netto disponibile. Avere un pensionato in casa riduce sensibilmente il rischio di povertà delle famiglie, anche rispetto all’anno antecedente la pandemia, al contrario di quello che si rileva fra le famiglie senza pensionati, fra le quali è cresciuto di un punto percentuale chi vive in povertà (considerando la definizione europea). La presenza di un pensionato all’interno di nuclei familiari “vulnerabili”, cioè genitori soli o famiglie in altra tipologia, riduce sensibilmente l’esposizione al rischio di povertà, rispettivamente dal 31,4% al 15% e dal 33,9% al 12,7% . Per oltre 7,1 milioni di famiglie italiane, ovvero il 60% delle famiglie con pensionati, i trasferimenti pensionistici costituiscono più dei tre quarti del reddito familiare disponibile; nel 24,4% dei casi le stesse prestazioni sono l’unica fonte di reddito, mentre per il 25,6% delle famiglie il loro peso non supera la metà delle entrate familiari.
Parlando genericamente di “pensioni” intendiamo sia i trattamenti da lavoro (al titolare o al consorte come reversibilità) che le pensioni di invalidità o assistenziali. Il 72,6% della spesa totale per le pensioni nel 2021 è stata erogata per pensioni di vecchiaia e anzianità. Nel 2021, il valore mediano dell’importo annuo delle singole prestazioni pensionistiche è stato di 8.897 euro, vale a dire che la metà delle pensioni prese singolarmente non supera questo importo, anche se si differenze si rilevano con riferimento al genere, al territorio e al tipo di pensione: se da lavoro, di invalidità o assistenziale.
I pensionati che continuano a lavorare
Sono sempre di più e più anziani i pensionati che continuano a lavorare, in particolare fra le fasce più abbienti, i commercianti e coloro che erano impiegati in agricoltura. Sei di loro su dieci lavorano nel settore dei servizi, un terzo dei quali nel commercio, mentre il 16% è occupato in agricoltura. In oltre tre casi su quattro di tratta di uomini, in due casi su tre di residenti nelle regioni settentrionali e quasi 9 su 10 sono liberi professionisti.
L’età media dei pensionati che lavorano è progressivamente cresciuta: negli anni nel 2021 il 78,6% aveva almeno 65 anni e il 45,4% ne ha almeno 70. Il 41,4% dei pensionati che lavorano svolge una professione qualificata, mentre risulta più bassa la percentuale di pensionati che lavorano in professioni non qualificate (3,9% contro 11,8%). Considerando solo l’occupazione indipendente (l’86,3% dei lavoratori beneficiari di una pensione da lavoro), la quota è aumentata di circa due punti percentuali nell’ultimo biennio. Il 56,3% è rappresentato da lavoratori autonomi (in aumento rispetto al biennio 2019-2020), il 24,9% da liberi professionisti (-2,1 punti rispetto al 2019), il 7,1% da coadiuvanti nell’azienda familiare e il 6,0% da imprenditori (in calo dopo la crescita del 2020).
Uomini e donne
Le donne sono la maggioranza sia tra i titolari di pensioni (55%) sia tra i beneficiari (52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici. In media, l’importo di una pensione di una donna è più basso rispetto a quello riservato agli uomini per lo stesso tipo di pensione (11mila contro 17mila) e i redditi mediani percepiti dalle donne sono inferiori del 28% rispetto a quelli degli uomini (14.529 contro 20.106 euro). Il grafico è chiaro: le donne sono la maggior parte dei percettori di pensioni con importi inferiori ai 1500 euro lordi mensili, mentre la loro pesenza si assottiglia sensibilmente al salire del reddito.
La disuguaglianza di genere è influenzata principalmente dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e spesso da carriere discontinue e quindi da storie contributive più brevi e frammentate, caratterizzate anche da un differenziale retributivo generalmente svantaggioso. In Italia, il tasso di occupazione delle donne fra i 15 e 64 anni è infatti al 49,4% nel 2021, contro il 67,1% degli uomini. Nel Meridione ci si assesta ad appena un terzo delle donne che lavora. Sappiamo che l’incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione è più alta tra le donne (11,6% contro 8,5% degli uomini), e queste differenze si rispecchiano a parità di prestazione anche come importo mediano: per una pensione di vecchiaia un uomo percepisce 20 mila euro lordi annui, mentre una donna solo 11 mila.
Fra gli anziani il gap è parzialmente colmato dal fatto che le donne percepiscono più pensioni degli uomini. Nel complesso più di due terzi dei pensionati (il 67,9%) beneficiano di una sola prestazione pensionistica. Ad accumulare più di una pensione (prestazioni con titolarità indiretta) sono soprattutto le donne, che rappresentano il 58,5% tra i titolari di due pensioni e il 68,8% tra i titolari di tre o più prestazioni.