Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
cronaca

Scopri i comuni dove l’inverno demografico è più freddo

“Tornate, non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”. Le parole del poeta Franco Arminio rispecchiano la fotografia di un’Italia che invecchia e che non trova un ricambio generazionale nei piccoli centri urbani.

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo ai più di otto mila municipi di cui si compone la penisola. Noi di InfoData abbiamo trattato il veloce spopolamento dei paesini in altre occasioni.. Ma guardiamo ai dati Istat sul tasso di migrazione, sui nuovi nati e sui decessi avvenuti negli ultimi 5 anni. Cosa sta succedendo agli enti territoriali, da Nord a Sud?

Dove sono i nidi di cicogna?

 Osservando la densità delle nascite, sembra che la cicogna nidifichi più frequentemente al Nord (soprattutto nel Nord-Ovest) e, seppur in maniera meno marcata, anche sul versante sud-tirrenico. Primi in classifica i comuni del Trentino, con un tasso di natalità medio di 8,57%. Seguono quelli partenopei, con 7,95%.

Marcia nel senso opposto l’area del Centro-Nord, con un tasso di natalità nettamente inferiore rispetto alla media del settentrione. Tra le peggiori in questa zona c’è la Toscana, con circa il 6% di nuovi nati contro la media nazionale di quasi 7 punti percentuali. Cinque anni prima, la natalità media della regione era al 7,78%. Va ancora peggio la Liguria, ultima in classifica delle settentrionali, con il suo 5,7% di natalità. Peggio di lei (a livello nazionale) solo la Sardegna, con 5,1%.

I numeri dei decessi

Fin qui i numeri non ci hanno rasserenato, ma il peggio è ancora tutto da raccontare. Ad esempio, guardando alla Liguria, oltre ad essere (come detto precedentemente) la regione che vede meno la cicogna svolazzare, è anche la prima per tasso di mortalità. La percentuale media dei suoi comuni è di quasi il 17%, mentre la media peninsulare si aggira sul 12,4%. Numeri che sono più marcati per la Città Vecchia cantata da Faber. A Genova, infatti, il tasso di mortalità è pari al quasi 18%. Quello di natalità, dello stesso anno, è ad appena il 6%.

 

La corrente migratoria 

Se tutto ciò non bastasse, bisogna anche considerare le correnti migratorie interne al nostro Paese. Sì, perché i paesini si svuotano non solo per questioni riguardanti la natura umana (come possono essere, appunto, le poche nascite e l’incremento dei decessi), ma anche per faccende economiche e sociali.

Guardando al tasso di migrazione medio, a perdere più residenti sono stati soprattutto gli enti territoriali calabresi (che hanno riscontrato un -3,74% nel 2020, mentre nel 2015 era di appena -1,90%). Segue la zona della Basilicata (con -3,44% nel 2020), il Molise (con -2,88%) e la Campania (-2,18%). Tutte regioni del Sud Italia.

Questo risponde quasi ad un cliché di cui ci ha abituati la questione meridionale. Il Sud che si svuota delle sue risorse migliori (i giovani) per trovar fortuna nel settentrione. Il tutto mentre i numeri dei decessi continuano a crescere, in un Paese che invecchia, perché ha sempre meno nati. Non bisogna lasciare priva di attenzioni questa grande emigrazione, come anche le altre circostanze che spogliano di vita la nostra penisola. Perché le parole di Arminio sono un monito. “Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”