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cronaca

Quanto dura il long-COVID? In media meno di un anno, dice un ampio studio israeliano

Uno studio nazionale condotto su quasi 2 milioni di persone di tutte le età con COVID lieve tra il 1° marzo 2020 e il 1° ottobre 2021, ha evidenziato che chi ha sofferto di COVID-19 in forma lieve con sintomi di long-COVID che si sono ridotti sensibilmente dopo 6 mesi dalla guarigione e risolti quasi tutti entro un anno dalla diagnosi.

Si tratta di uno studio retrospettivo, cioè che analizza dati già presenti riguardanti un certo periodo, che in questo caso provengono da un database corposo di cartelle cliniche elettroniche di un’organizzazione sanitaria nazionale israeliana che raccoglie i dati sanitari dei suoi pazienti dal 1993. Sono stati valutati gli esiti di salute riportati nella cartella clinica solo di persone con un test PCR positivo ma nessuna registrazione di ricovero ospedaliero correlato al covid-19 nel mese successivo. È stata differenziata la situazione a breve termine, cioè dopo 30-180 giorni (6 mesi) e gli effetti più a lungo termine, cioè a 6 mesi- un annodall’infezione. I risultati sono stati pubblicati sulla nota rivista medica BMJ.

Quali sono gli effetti del long- COVID?

Premessa, sempre doverosa su questo argomento: misurare il post-COVID è difficile perché prima di tutto bisognerebbe averne una definizione precisa e condivisa. Il problema è che trattandosi di una malattia sconosciuta fino a tre anni fa, ci è voluto del tempo per capire quali sintomi potessero davvero rappresentare una “post-covid condition”. La letteratura degli ultimi due anni si è concentrata anzitutto nello scremare i sintomi correlabili e quelli che non lo sono, quantificandone la prevalenza nei pazienti, vaccinati e non. Non esiste quindi una letteratura sufficientemente ampia e con follow-up (cioè tempo successivo alla malattia in cui si controllano i risultati) lungo abbastanza da fornire la percentuale esatta di persone che manifestano un certo sintomo, né tantomeno un numero certo di mesi necessari perché questi sintomi smettano di manifestarsi.
Esistono delle stime, che nel corso degli anni sono diventate sempre più indicative (ne avevamo parlato qui). Questo studio è interessante perché essendo condotto su cartelle cliniche elettroniche contribuisce a quantificare il fenomeno. Oggi sappiamo che più di 500 milioni di persone sono state infettate da SARS-CoV-2, la maggior parte delle quali ha avuto una malattia lieve e che long covid è definito comequell’insieme di sintomi che persistono o nuovi sintomi che compaiono oltre le quattro settimane dalla diagnosi primaria di COVID-19.

I risultati dello studio

L’infezione da Covid-19 è stata significativamente associata ad un aumento del rischio nei periodi precoci e tardivi di anosmia e disgeusia, di deterioramento cognitivo, dispnea, debolezza, palpitazioni, e con un eccesso di rischio significativo ma inferiore rispetto ai precedenti sintomi, per tonsillite streptococcica e vertigini. I pazienti vaccinati che avevano avuto COVID-19 (stiamo parlando sempre di persone con malattia lieve) avevano un rischio inferiore di dispnea e un rischio simile per altri esiti rispetto ai pazienti infetti non vaccinati. La perdita di capelli, il dolore toracico, la tosse, la mialgia e i disturbi respiratori erano significativamente aumentati solo durante la fase iniziale per andare scemando dopo i sei mesi.
Il sottogruppo di età compresa tra 41 e 60 anni ha avuto il maggior numero di esiti di salute da long-COVID durante l’anno successivo all’infezione. Nella fascia di età superiore a 60 anni si è osservato un aumento del rischio in particolare durante la fase iniziale di caduta dei capelli, debolezza, dispnea e dolore toracico. Solo la dispnea è rimasta significativamente aumentata per tutta la fase tardiva di osservazione.

Per valutare il rischio di esiti di salute a lungo termine nei pazienti con COVID lieve causato da diverse varianti di SARS-CoV-2, i ricercatori hanno confrontato la variante di Wuhan di SARS con la variante alfa (B.1.1.7) e successivamente con la variante delta (B.1.617.2). Interessante è anche il fatto che i risultati sono rimasti coerenti tra le varianti.

Solo anosmia e disgeusia, compromissione della concentrazione e della memoria, dispnea, debolezza, tonsillite streptococcica, congiuntivite nei più piccoli, e vertigini sono stati riportati nei pazienti infetti ancora un anno dopo l’infezione, indicando quindi sintomi di lunga durata, in linea con gli studi precedenti, la maggior parte dei quali tuttavia non ha potuto esaminare la situazione dopo un periodo così lungo, un anno, dall’infezione.
Sono necessarie ulteriori indagini – scrivono gli autori – per determinare se questi maggiori rischi sono limitati alla tonsillite streptococcica e alla congiuntivite o riflettono gli esiti di salute immunologica inerenti al covid-19 in generale. Anche perché il ridotto distanziamento sociale tra i pazienti infetti può aver inciso sulla associazione tra l’infezione da SARS-CoV-2 e la successiva incidenza di malattie infettive come la congiuntivite e l’infezione da streptococco.

Per approfondire. 

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