Come prima cosa il World Happiness Report 2023 non dice che la felicità si è clusterizzata, per usare una terminologia da statistico. Cioè, mai come in questi anni è diventato complicato misurare il grado di soddisfazione di un mondo sempre più ineguale. Sono infatti passati più di dieci anni dalla pubblicazione del primo World Happiness Report. E sono esattamente dieci anni da quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 66/281, proclamando il 20 marzo come Giornata Internazionale della Felicità. Quest’anno gli autori del report si pongono cinque domande, le prima per noi è la più rilevante di tutte.
Qual è l’opinione comune sulla misurazione della felicità nazionale e che tipo di comportamento richiede agli individui e alle istituzioni?
Il modo naturale per misurare la felicità di una nazione è chiedere a un campione di persone rappresentativo a livello nazionale quanto sono soddisfatte della loro vita. Il WHR ha intervistato più di 100.000 persone in 137 paesi che hanno rilevato livelli significativamente più alti in tutte le regioni del mondo rispetto a prima della pandemia. E quando è stato chiesto di valutare la propria vita su una scala da uno a 10, le persone in media hanno dato punteggi altrettanto alti negli anni Covid 2020-22 come nel 2017-19. Come dire, secondo i risultati del repport, la maggior parte delle popolazioni di tutto il mondo continua a essere notevolmente resiliente nonostante tutto quello che è accaduto in questi due anni. E cioè pandemia, la crisi energetica globale, l’inflazione elevata e la guerra in Ucraina.
Il dato che spicca è l’aumento della benevolenza.
I ricercatori della Nazioni Unite hanno scoperto che le persone hanno aumentato le loro attività nel volontariato e contribuito maggiormente alla beneficenza. Il che è bellissimo ma pone diversi problemi. Il dubbio che si pongono anche i ricercatori dello studio è però legato alla metodologia. Per studiare la disuguaglianza della felicità, ci concentriamo innanzitutto sul divario di felicità tra la metà superiore e quella inferiore della popolazione. Qui trovate l’infografica che rappresenta appunto il divario di felicità all’interno di uno stesso Paese. In realtà, come appare evidente, quando valutiamo una società, una situazione o una politica, non dovremmo guardare solo alla felicità media che porta (anche per le generazioni future). Dovremmo guardare, sottolinea il report, alla portata dell’infelicità (cioè, alla scarsa soddisfazione di vita) che ne deriva.
La questione del diritto alla felicità.
Ci si domanda se per prevenire la miseria, i governi e le organizzazioni internazionali debbano stabilire diritti come quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite (UDHR). O ampliare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) per considerare congiuntamente le dimensioni del benessere e della politica ambientale al fine di garantire la felicità delle generazioni future. La sensazione insomma è che il miliardo e passa di persone che vivono in Occidente siano sempre più lontane dal resto del mondo. Tutte le politiche governative dovrebbero essere valutate rispetto alla pietra di paragone del benessere (per dollaro speso). In realtà così non è. Quando si allargano le disparità non solo economiche e quindi non solo legate alle condizioni materiali ma anche culturali ed esistenziali è complicato pensare a una misurazione condivisa della felicità. Quello che il report non dice è proprio che mai come questi anni la definizione di felicità andrebbe declinata in modo diverso. Detto in modo più diretto, servono davvero nuovi indicatori ma capaci di leggere meglio il contesto.
Quanto alla classifica. ..
Qui sotto trovate l’infografica pubblicata da Visual Capitalist con la classifica secondo l’indice della Felicità.
La Finlandia è di nuovo in cima alla classifica dei “paesi più felici del mondo”. Ricordiamo che il World Happiness Report prende in considerazione parametri come il sostegno sociale, il reddito, la salute, la libertà, la generosità e l’assenza di corruzione. I finlandesi sono al comando da sei anni di fila e il podio, ancora una volta, è tutto “nordico”. Seguono infatti Danimarca e Islanda, poi Israele, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, Svizzera, Lussemburgo e Nuova Zelanda. E l’Italia? Il nostro Paese perde due posizioni e scende dalla trentunesima alla posizione numero 33, subito dopo la Spagna e prima del Kosovo.
Per approfondire.
Europa, scopri dove i soldi (non) danno la felicità (e perché)