“Il falso mito, oramai luogo comune, ma che non ha fondamenta è che gli antibiotici utilizzati finiscano nella carne che viene venduta e che mangiamo. In realtà i residui che riscontriamo nelle nostre analisi sono a livelli irrisori” raccontava Antonia Ricci, Direttrice dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – IZSVe.
I regolamenti obbligano gli allevamenti ad attendere il tempo necessario fra la somministrazione di un antibiotico a un animale malato e la sua macellazione, affinché l’antibiotico venga metabolizzato ed eliminato dall’organismo dell’animale.
Il secondo dato interessante riguardo l’uso degli antibiotici negli allevamenti italiani è che negli ultimi cinque anni sembra essersi registrato in media un crollo verticale del loro utilizzo: -90% dal 2015 al 2020 fra i polli da carne e -80% nei tacchini.
Una conferma viene dall’ultimo rapporto dell’ECDC, che evidenzia una tendenza di riduzione della percentuale di batteri multiresistenti presenti negli animali da allevamento. Anche in Italia, riscontriamo un trend favorevole sia per la multiresistenza, che per la prevalenza di Escherichia coli contenenti un enzima che li rende resistente ai farmaci di ultima generazione.
Da poco in Italia esiste un monitoraggio su quanti antibiotici vengono usati da ogni allevamento e quando, ad opera di un sistema nazionale chiamato Classyfarm, voluto dal Ministero della Salute. Abbiamo contattato uno dei Referenti, Loris Alborali, dell’IZSLER – Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, che coordina l’attività di Classyfarm per capire come stanno andando davvero le cose. “Negli ultimi cinque anni stiamo assistendo a un cambiamento importante circa la consapevolezza degli operatori in merito all’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti. Dobbiamo ancora lavorare ” ci racconta Alborali. Se ne vendono molti di meno perché se ne usano molti di meno. Dal 2010 le vendite degli antibiotici ad uso veterinario si sono ridotte del 59%. “Il trend di riduzione delle vendite è importante ma nonostante questo siamo fra i paesi europei dove si vendono più antibiotici. Dal 2018 al 2021 le vendite degli antibiotici più critici per l’essere umano, le Cefalosporine di III e IV Generazione, si sono ridotte del 63%, quelle dei Chinoloni dell’85% quelle delle Polimixine (Colistina) del 98%. “Dobbiamo lavorare molto per far continuare il trend di riduzione e comunque tenere a mente che l’obiettivo non è portare a zero l’uso di antibiotici, perché gli animali possono ammalarsi, ma far sì che vengano usati in maniera razionale e al bisogno dopo avere migliorato benessere e biosicurezza al fine di prevenire l’antibiotico resistenza.
A livello internazionale (dati EMA e ESVAC aggiornati ogni anno) si contano infatti le vendite di antibiotici e si valuta come sta andando un paese sulla base di questo indicatore. Classyfarm invece è in grado di monitorare il consumo di antibiotici: quanti giorni ogni animale in media è stato tattato in un determinato periodo(es. anno) . L’indicatore sono le Define daily dose, DDD, i giorni medi di trattamento a cui ogni animale in quell’allevamento è sottoposto in un anno. Per esempio 5 DDD significa che è come se tutti gli animali fossero stati trattati in media per 5 giorni l’anno. La riduzione del consumo di antibiotici negli avicoli è stata massiccia: -90% di utilizzo dal 2015 al 2020 fra i polli da carne e -80% nei tacchini. Oggi ci assestiamo, rispettivamente, su 1,2 DDD e 6 DDD. “Alcuni Paesi come la Danimarca sono partiti molto prima e hanno raggiunto un buon livello di riduzione dell’utilizzo. Noi siamo partiti dopo anche altri paesi europei, nel senso che fino a qualche anno fa gli allevamenti italiani non si ponevano molto il problema dell’utilizzo gli antibiotici. Gli allevamenti avicoli, come detto, sono stati i primi a partire con questa strategia Questo ha reso il crollo di utilizzo in Italia così rilevante soprattutto in queste specie. Ora si tratta di applicare la stessa strategia anche nelle altre specie”. continua Alborali.
I dati provengono da questo sistema Classyfarm, introdotto da pochissimi anni in Italia, il quale permette un monitoraggio sia per area che per singolo allevamento: andamento, tipo di antibiotico e di programmare i controlli sulla base della categoria di rischio a cui l’allevamento appartiene, sulla base del benesere animale, dei sistemi di biosicurezza degli allevamenti e del livello di consumo di farmaci. È una sorta di fascicolo sanitario elettronico degli allevamenti, che funziona sulla base della ricetta elettronica messa a punto dall‘ IZS di Teramo – necessaria per acquistare un antimicrobico, tenendo presente che gli alimenti che si acquistano senza ricetta non contengono antibiotici. Una volta emessa dal veterinario, la ricetta compare automaticamente all’interno di questo sistema permettendo di conteggiare quanti e quali antibiotici sono stati somministrati in ogni allevamento. Il sistema prende i dati, li elabora secondo algortmi scientificamente riconosciuti a livello internazionale (EMA) e categorizza le aziende secondo un ranking. “Questo sistema innovativo voluto dal Ministero della Salute serve per poter dire agli allevatori che risulta consumare più della media degli altri allevamenti di fare qualcosa in tal senso, per esempio migliorando i sistemi di biosicurezza e di igiene, che sono cruciali perché gli animali si ammalino meno e abbiano dunque meno bisogno di farmaci – spiega Alborali – ma serve anche alle aziende sanitarie per programmare controlli ufficiali andando a controllare chi è più a rischio”.
Per ora non c’è un valore soglia prestabilito riguardo al consumo di un farmaco. Tutte le aziende presentano un valore di consumo espresso in DDD. Il confronto che viene fatto è fatto con la mediana. Ad esempio, se la mediana che ne risulta è 10, chi consuma meno significa che sta facendo bene, chi consuma più di 10 deve impegnarsi a ridurre e va monitorato. “In questo modo ogni allevamento si confronta con se stesso nel tempo e con gli altri tramite mediana nazionale, mediana regionale e mediana locale”. “È stato fatto un grande lavoro a partire dal 2019 per mettere a punto il sistema di monitoraggio dei consumi e per fare formazione sulla biosicurezza, eper migliorare la diagnostica negli allevamenti al fine di ottimizzare l’uso di vaccini o prodotti alternativi agli antimicrobici. Servono parecchi anni per vedere i risultati di questo tipo di attività, ma sicuramente gli allevamenti che hanno iniziato prima dimostrano che è la strada giusta e fanno si che possiamo assistere a breve al cambiamento”.
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