L’81,3% delle persone omosessuali e bisessuali ha subito almeno una micro aggressione sul luogo di lavoro. Questo il dato che emerge da una ricerca condotta da Istat e Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), organismo che fa capo al dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Lo studio è stato realizzato attraverso un questionario da compilare on line rivolto a persone omosessuali e bisessuali, maggiorenni, che al momento della rilevazione vivevano in Italia, non erano in unione civile né lo erano state in passato.
In totale, sono circa 1.200 gli individui che hanno risposto al questionario. La tecnica di rilevazione ha favorito l’adesione da parte di persone con caratteristiche demografiche più spesso associate alle competenze digitali, come la giovane età, un alto livello di istruzione e la residenza in grande comune. Proprio per questo, specifica l’istituto nazionale di statistica, «i risultati di questa rilevazione non possono quindi essere considerati rappresentativi di tutta la popolazione omosessuale e bisessuale non in unione civile».
Fatte queste premesse, doverose sul piano statistico, il quadro che emerge descrive i luoghi di lavoro in Italia come ambienti non esattamente ospitali per le persone omo e bisessuali. La percentuale di chi ha avuto modo di sentire battute allusive o di sentir usare la parola frocio o l’aggettivo lesbica in tono dispregiativo si attesta intornio al 90%. Mentre a due persone su cinque è capito di sentirsi fare domande sulla propria vita sessuale, non esattamente un tema di cui discutere a margine di una riunione o di fronte alla macchinetta del caffè.
Anche quando non si manifesta sotto forma di micro aggressioni, il clima ostile sui luoghi di lavoro porta le persone omo e bisessuali ad evitare alcuni comportamenti, considerati invece del tutto normali per gli eterosessuali.
Un terzo degli intervistati si preclude la possibilità di frequentare i colleghi al di fuori dell’ufficio, oltre il 60% non parla della propria vita privata e uno su cinque non partecipa ad eventi aziendali con l’obiettivo di nascondere il proprio orientamento sessuale. Va detto che l’84,3% degli intervistati ha affermato che almeno una parte dei colleghi è a conoscenza del fatto che siano omo o bisessuali. Nel 78,3% si tratta di pari grado, nel 64,8% del datore di lavoro o comunque di un superiore, nel 55,3% di un dipendente o di un sottoposto. Il 31,2% ha invece ha affermato di essere stato vittima di outing, ovvero che una persona all’interno dell’ambiente lavorativo ne abbia rivelato l’orientamento sessuale senza che il diretto interessato avesse dato il proprio consenso.
Anche in fase di ricerca di lavoro, sono diversi gli episodi di discriminazione segnalati dai 1.200 che hanno risposto al questionario di Istat e Unar.
Più o meno la metà dei rispondenti ha affermato di essersi vista offrire un lavoro, ma senza un regolare contratto. Circostanza, quest’ultima, che purtroppo non riguarda solo le persone omo e bisessuali. C’è invece chi, a causa del proprio orientamento sessuale, si è visto offrire una mansione inferiore a quella per cui era qualificato (46,2%) e chi invece si è visto proporre uno stipendio più basso (44,6%). Il risultato è che il 41,2% degli intervistati occupati o ex-occupati ha affermato che il proprio orientamento sessuale si è rivelato un ostacolo alla propria carriera lavorativa.