Malé sorge su un atollo dell’Oceano Indiano prossimo all’equatore. I suoi quartieri racchiudono quasi duecentomila abitanti in un’area che misura meno di otto chilometri quadrati. È la capitale della Repubblica delle Maldive e progetta ora il suo doppio, la sua replica artificiale: un’isola a dieci minuti di barca fissata a un sistema di palafitte fluttuanti. Un marchingegno architettonico in grado di accogliere più di ventimila abitanti indigeni e costituito di cinquemila tra negozi, ristoranti e scuole.
Uno dei più celebri loci amoeni del turismo di massa sconfina oltre i propri limiti naturali, per fuggire l’effetto delle trasformazioni climatiche che innalzano il livello dei mari e minacciano di erodere le sue coste. Ma la tecnologia non è un taumaturgo che possa aiutare chiunque, e l’inesorabilità dei processi di mutamento climatico, indotti in buona misura dalle attività umane, pone in pericolo intere popolazioni e territori. Ludovica Amici ha appena dato alle stampe per Clichy un dettagliatissimo resoconto (Caos, come la crisi climatica influenzerà la migrazione globale), i cui capitoli assumono le tinte di un vero e proprio reportage colmo di cifre forse apocalittiche ma certo probanti, perché desunte dalle fonti scientifiche più autorevoli. Per darne un saggio al lettore: la Banca Mondiale stima che 216 milioni di persone saranno sfollate entro i confini del proprio paese di qui al 2050 per gli sconvolgimenti legati al clima, i quali si sono già riverberati, l’autrice ci mostra, sui modelli migratori. Perché il riscadamento globale esercita un impatto su variabili meno dirette che le sole condizioni materiali di vita (vale a dire la disponibilità di acqua potabile, il livello dei raccolti, ecc.): i mutamenti climatici sono fenomeni ambientali in grado di scatenare eventi sociali di vasta portata. Risale al 2004 il genocidio del Darfur, la regione sudanese in cui lo sterminio etnico, insieme a fame e malattie, arrivò a mietere decine, se non centinaia di migliaia di vittime.
Come sottolinea l’autrice, «quello che in origine è stato riportato agli spettatori occidentali come un conflitto tribale tra milizie a cavallo arabe e contadini africani, a un esame più attento sembra essere stato la guerra di un governo contro la propria pololazione, in cui il cambiamento climatico ha giocato un ruolo decisivo. […] Uno studio del 2007 dell’United Nations Environment Programme ha riassunto la situazione in Darfur sostenendo che i problemi ambientali, combinati con l’eccessiva crescita della popolazione, hanno creato il quadro per violenti conflitti di matrice etnica tra africani e arabi». L’interazione tra conflitto e impatto climatico fu evidente anche in un altro evento recente di vastissimo impatto: la crisi siriana. La Amici osserva che «la crescente scarsità d’acqua e i frequenti periodi di siccità, insieme a una cattiva gestione delle risorse idriche, hanno provocato la scarsità di raccolti pluriennali, un deterioramento economico e una conseguente migrazione di massa delle famiglie rurali verso le aree urbane. Perché quando le persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza, i prezzi del cibo sono aumentati vertiginosamente e un milione e mezzo di lavoratori delle campagne si è trasferito in città per trovare lavoro. Coloro che sono rimasti indietro, in condizioni di povertà, erano un facile bersaglio per i reclutatori dell’Isis (il cosiddetto Stato islamico dell’Iraq e della Siria, anche chiamato Daesh)». Nel contesto della Primavera Araba e delle sempre più severe restrizioni del governo siriano «le questioni sociali causate dal cambiamento climatico hanno contribuito a esacerbare le tensioni esistenti». Ne è risultata la più grave crisi mondiale di rifugiati degli ultimi decenni con più di 6,6 milioni di siriani sfollati (un quarto della popolazione complessiva).
Caos è un resconto robusto e minuzioso, ma è allo stesso tempo un diario di viaggio, che riporta ai lettori, sempre meno ignari della drammaticità dei temi climatici, fatti indubitabili e testimonianze autentiche, raccolte tra Lima e Mumbai, tra i desolanti slum del Bangladesh e le prodigiose dighe del Nord Europa. Mentre spaliamo fango dai nostri quartieri martoriati, Caos ci dà prova che i traumi di cui oggi facciamo esperienza non sono un gioco crudele del caso, ma il prevedibile esito di una crisi climatica che è una crisi umana e che rischia di rendere elevatissimo, e forse insostenibile, il costo dell’inazione.
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