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La stagione Nba ai raggi X. Ecco cosa dicono i numeri – Parte 2

 

 

Nel grafico sopra sono stati rappresentati i bilanci vittorie sconfitte (Win-Loss) delle trenta squadre NBA negli ultimi i venti campionati andando a colorare ogni cella sulla base di un gradiente che vira dal rosso per i risultati meno performanti fino al blu delle regular season più vincenti, venendo corredati da un triangolo in alto o in basso a seconda dell’eventuale partecipazione alle Finals con relativo esito associato.

In aggiunta, per ogni squadra è disponibile il bilancio complessivo calcolato sull’intero periodo esaminato.

Dato un’occhiata alla mappa di calore appare infatti evidente come la “striscia” di Denver non presenti altro che quattro o cinque episodi “in rosso” (neanche troppo accesi) a dimostrazione del fatto che l’operato della franchigia del Colorado è sempre stato di buon livello (56,5% nei vent’anni che vale il terzo miglior risultato complessivo della NBA, dopo San Antonio e Dallas), riducendo così di conseguenza le probabilità di poter aggiudicarsi delle scelte alte per i vari draft di giugno (ricordiamo che, tendenzialmente, al netto di scambi, le squadre con i bilanci peggiori hanno maggiori possibilità di aggiudicarsi le prime scelte).
Curiosamente la stagione peggiore in fatto di vittorie-sconfitte è stata proprio quella dell’esordio dell’MVP delle finali, ossia la 2014/15, durante la quale – oltre ad aver scelto il suo gemello bosniaco Jusuf Nurkic (via scambio di pick con Chicago in cambio di Doug McDermott) – le “pepite” si sono fermati ad un modesto 36,6%, prima che poi il numero di vittorie cominciasse a crescere significativamente nelle stagione successive, affermandosi come una delle realtà più solide della Western confernce, senza però mai essere considerati per davvero come la minaccia numero uno per la vittoria finale.
Quest’anno però le cose sono cambiate ed il messaggio è stato recepito forte e chiaro: si può ancora costruire (sapientemente), facendo maturare i propri talenti, anche se il mercato in cui si gioca non è di certo tra i più appetibili negli Stati Uniti: occorre avere fiducia, pazientare e #TrustTheProcess.
Si potrebbe dire che in un certo senso anche la narrativa attorno a Jokic sia cambiata perché vincere due titoli di MVP della stagione sfoderando cifre incredibili (in particolar modo per quanto riguarda gli assist che tendenzialmente sono prerogativa dei giocatori “piccoli”) ma uscendo poi relativamente presto durante i playoff sembrava fare eco con il solito discorso di stat padding (gonfiare le statistiche oltre il reale apporto alle partite), pur accompagnato dalla consapevolezza che tutti stimassero il serbo per le sue qualità di passatore sopraffino o più in generale per il suo QI cestistico fuori scala.
Dopo questo titolo invece, oltre al valore della vittoria finale che rimarrà di certo negli annali, la percezione sul centro dei Nuggets non potrà più essere la stessa perché aver di fatto sbaragliato la concorrenza (16-4 il bilancio complessivo dei playoff) continuando a macinare cifre incredibili lo mette, a ragion veduta, in una cerchia di atleti piuttosto ristretta

…segue

Per approfondire. 

The Last Dance, la fine dei Chicago Bulls e i dati. Riparte l’Nba

Nba, chi è Nikola Jokic la stella serba dei Danver Nuggets? – Parte 1

I playoff, i premi della Nba e gli atleti più forti di sempre.