Il Ministero della Salute ha pubblicato una relazione sullo stato dell’arte dell’odontoiatria pubblica analizzando le differenze di accesso ai servizi per gruppi di reddito. Risultato: l’approccio non è equo. Equità in sanità pubblica (e questo da definizione ufficiale condivisa nel mondo scientifico perché produce i migliori risultati) non significa dare a tutti indistintamente la possibilità di esenzione a parità di patologia, bensì venire maggiormente incontro a chi ha più bisogno.
Non si nota infatti alcuna differenza rispetto alla quota che i più ricchi e i più poveri hanno dovuto pagare di tasca propria per le spese dentali, anche se per una famiglia in difficoltà può aver significato grandi rinunce. L’83% delle famiglie più povere ha pagato le proprie spese dentali dell’ultimo anno di tasca propria, come l’85% dei più ricchi.
I dati ISTAT mostrano come nel 2019 (ultimo anno disponibile) la metà della popolazione italiana con più di 15 anni abbia avuto accesso ad almeno una prestazione odontoiatrica, che il 92% lo ha fatto pagando per intero la prestazione (con o senza un rimborso da parte di n’assicurazione) e che il 91% si è rivolto a un libero professionista al posto di una struttura pubblica o convenzionata.
In questa situazione le famiglie meno abbienti rinunciano di più alle cure dentali. I dati ISTAT relativi alla spesa delle famiglie italiane mostravano che nel 2019 solo il 16% delle famiglie, una su sei, aveva speso del denaro per cure dentistiche nell’ultimo anno per almeno un membro. Con differenze notevoli in base al reddito: il 9% fra le famiglie meno abbienti e il 25% fra le più ricche. Fare prevenzione rispetto all’igiene dentale significherebbe controlli annuali, anche in assenza di problematiche. Si stima che quattro bambini su dieci con meno di 12 anni ancora oggi abbiano dei denti cariati. Inoltre, non solo si registrano ampie differenze nell’accesso al dentista tra famiglie, ma anche l’importo medio per famiglia, per coloro che si sono rivolte a questo servizio. Quelle appartenenti al 10% più ricco hanno speso in media 200 euro mensili in servizi dentistici, circa il doppio rispetto a quanto ha spesa una famiglia appartenente al 10% più povero e fronte di una media di circa 156 euro mensili.
È sempre un tema di categorie ammesse al servizio pubblico. In Italia i servizi odontoiatrici pubblici esistono e sono regolati dal 2001 all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), i cui indicatori di accesso sono stati rivisti nel 2017, ma non sono ancora veramente equi. Gli attuali criteri prevedono la presenza di condizioni di vulnerabilità sanitaria e vulnerabilità sociale e di fasce della popolazione a cui edeve essere garantito l’accesso, ma solo per un limitato numero di prestazioni. Se messa in relazione alla spesa delle famiglie per servizi odontoiatrici, emerge come in media la quota a carico del SSN superi di poco l’1% del totale dei consumi odontoiatrici del paese con una elevata variabilità che vede le regioni meridionali con una quota coperta dal pubblico superiore rispetto alle regioni settentrionali.
Nel 2021 sono stati erogati 3,7 milioni di euro dal Servizio Sanitario Nazionale per prestazioni ambulatoriali. Come volumi di prestazioni per il 27% si è trattato di prime visite, per il 20% di diagnostica per immagini e trattamenti diversi. Solo nell’1% dei casi le cure odontoatriche pubbliche si riferivano a protesi e perni (dentiere incluse) che come sappiamo sono la voce di spesa dentistica più rilevante. Non si può paragonare in termini economici il progetto per una famiglia di sottoporre tutti i componenti a controllo annuale con il dover accedere a una protesi dentaria. Nel secondo caso si tratta di cifre enormemente superiori. E non tutti possono recarsi all’estero per accedere a cure dentali a prezzi inferiori, come fanno molti italiani. Secondo Astoi Confindustria Viaggi, sarebberp 50 mila gli italiani che si recherebbero ogni anno all’estero per andare dal dentista.In primis verso Croazia, Albania, Serbia, e Romania.
Passando dai volumi al dettaglio della spesa, l’area che assorbe la maggioranza relativa delle risorse è quella dei trattamenti conservativi (il 25% della spesa), seguita dalle diagnosi (23%), dalla diagnostica per immagini (16%) e dalla chirurgia orale (11%).
L’importo complessivamente impiegato per le cure odontoiatriche pubbliche si attesta a circa 85 milioni di euro annui, che significa una fetta irrisoria della spesa pubblica: lo 0,2% della spesa sanitaria pubblica destinata ai servizi ambulatoriali (che ammontava a 35 miliardi nel 2021) e lo 0,07% della spesa sanitaria pubblica complessiva (che ammontava a 127 miliardi nel 2021).
Come essere più equi? “Per quanto riguarda il criterio di vulnerabilità sanitaria – si legge nel rapporto – si tratterebbe di estendere tale accezione a categorie e codici di esenzione per patologie ulteriori rispetto a quanto attualmente previsto secondo il criterio “discendente” (come i pazienti in attesa e post-trapianto, chi soffre di immunodeficienze gravi, pazienti con cardiopatia congenita, con patologie oncologiche ed ematologiche in trattamento con radio o chemioterapia, pazienti con emofilia grave) o di prevedere la possibilità che i pazienti affetti da patologie associate a complicanze di natura odontoiatrica secondo il criterio “ascendente” di accedere alle prestazioni anche qualora non sussistesse una concomitante vulnerabilità sociale.” Relativamente alla vulnerabilità sociale, invece, è necessario lavorare per estendere le possibilità di accesso all’odontoiatria pubblica con limiti meno restrittivi negli indicatori di misurazione della condizione socio-economica utilizzati.