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Buchi bianchi, dati e ricerca scientifica. Intervista a Carlo Rovelli #ungraficoeunlibro

«Ciò che l’immaginazione afferra come bellezza dev’essere verità», scrisse il poeta Keats all’amico Benjamin Bailey. La storia della scienza è costellata di teorie belle e prodigiose, ma false; proprio questo è, tuttavia, il modo di avanzare della conoscenza, che procede per successi e tentativi infelici, per ipotesi audaci e vere o false prove, esultanti conferme e insuccessi tormentosi. All’origine di tutto ciò sta il senso di meraviglia e quel principio di attrazione, che chiamiamo curiosità, per cui noi gravitiamo verso le cose, specie le più enigmatiche, talvolta con l’istinto di lasciarci inghiottire. Buchi Bianchi: dentro l’orizzonte di Carlo Rovelli, insigne fisico teorico e celebratissimo divulgatore, illustra una delle ipotesi più affascinanti della fisica moderna: che i buchi neri, che oggi osserviamo a centinaia nel cielo, possano al termine della loro lunga vita ‘rimbalzare’, trasformandosi nel proprio rovescio quantistico, i buchi bianchi. Rovelli ci guida in un viaggio dantesco oltre l’orizzonte dei buchi neri, nelle loro regioni più interne «dove il tempo e lo spazio si sciolgono» e il carattere prospettico della temporalità diviene una sfida ardua per gli stessi scienziati. Cosa avviene al termine della lunga vita dei buchi neri, dentro la loro bizzarra geometria, dopo un tempo «che è qualche attimo e insieme milioni di anni»? Ne ho parlato con lui.

 

 

Cosa sono, dunque, i “buchi bianchi”, questi “elusivi fratelli minori dei buchi neri”, come lei stesso li definisce, e dove dovremmo aspettarci di osservarli?

 

Sono degli oggetti che forse sono numerosi nel cielo. Sono quello che potrebbe restare di un buco nero dopo il lungo periodo in cui questo si è rimpicciolito. Potrebbero perfino già essere stati osservati: essere una componente di quella “materia oscura” che gli astronomi hanno messo in evidenza essere intorno alla galassie, e che non sappiamo cosa sia. Ma su tutto questo non abbiamo ancora alcuna certezza.  

 

 

Buchi Bianchi non è solo un viaggio vertiginoso là dove persino Einstein, la nostra guida sicura, pare abbandonarci, ma è allo stesso tempo una peregrinazione intima lungo una via tracciata dall’amore della ricerca. Qual è il valore che l’argomento del libro riveste per lei?

 

Si, esatto. Non si tratta tanto di un libro di divulgazione scientifica, quanto di un racconto del viaggio che è la ricerca scientifica teorica. Per questo è un libro che sento particolarmente vicino. Racconto come nascono le idee, le emozioni, i dubbi, la gioia della ricerca…

 

 

Qual è la difficoltà più grande nell’introdurre il lettore profano alla comprensione di fenomeni così distanti dall’esperienza ordinaria?

 

La difficoltà maggiore è cercare di accompagnare il lettore ad accettare l’idea che certe assunzioni sul mondo che sembrano completamente ovvie possano invece essere solo valide in un ambito limitato. Per esempio tutti abbiamo un’idea intuitiva chiara di come sia fatto lo spazio attorno a noi, e proprio per questo facciamo fatica a pensare che lo spazio sia fatto in modo diverso. Un po’ come parlare di cosa siano le montagne a qualcuno che sia sempre vissuto in pianura e non abbia mai visto immagini di monti. 

 

 

Oggi nessuno sa se i buchi bianchi esistano davvero, e il senso di meraviglia che suscitano è l’esatta cifra del loro carattere enigmatico. Perciò le chiedo: lo scopo della scienza è forse, oltre che di risolvere, anche di provocare e rilanciare a ogni passo quella stessa sensazione di meraviglia e di mistero?

 

La scienza è una attività umana multiforme e complessa. È nata attraverso percorsi trasversali, e le sue stesse motivazioni sono cambiate nei secoli e sono multiformi. Vanno dalla semplice curiosità alla ricerca di strumenti per meglio agire sulla natura, fino a fare armi. Ma credo che la sensazione di meraviglia e mistero che suscita tutto ciò che non sappiamo ne sia sempre stata una sorgente. Ci sono splendide parole di Aristotele su questo: “… gli uomini hanno cominciato a cercare il sapere a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere.” E riconoscere di non sapere è il primo passo per imparare qualcosa.

 

Adelphi, pp. 144, 14 Euro 2023

 

 

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