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cronaca

Se una persona su 7 avrà il diabete, cureremo peggio anche le altre malattie

Si parla troppo poco di diabete rispetto a quanto dovremmo. Come si trattasse di una malattia tutto sommato rara, che ci interessa poco. Al contrario, il diabete di tipo 2 è destinato a essere la malattia del secolo, un’epidemia – se ci si concede l’uso di un termine in uso per le malattie infettive – che inciderà incredibilmente sullo stato di salute della popolazione oggi giovane. Quella che può ancora per molti versi giocare di anticipo, di prevenzione. Un articolo apparso sulla nota rivista The Lancet, a firma di un team di ricercatori di prim’ordine ha stimato che in trent’anni raddoppierà il numero di diabetici in tutto il mondo. Oggi più di mezzo miliardo di persone convive con questa malattia, ma nel 2050 a soffrirne saranno 1,3 miliardi di persone. Considerando che le Nazioni Unite hanno previsto che entro il 2050 la popolazione mondiale sarà pari a 9,8 miliardi di individui, significa che circa una persona adulta su sette fra trent’anni avrà il diabete di tipo 2.

Secondo i dati elaborati su The Lancet, l’attuale tasso di prevalenza del diabete a livello globale è del 6,1% (oltre il 20% fra gli over 65 e il 25% fra i 70-29 enni), rendendola una delle 10 principali cause di morte e disabilità. Il tasso più alto è in Nord Africa e Medio Oriente (9,3%), e si prevede che tale numero salirà al 16,8% entro il 2050. Il tasso in America Latina e nei Caraibi dovrebbe aumentare fino a toccare a 11,3% di persone con diabete di tipo 2. Oggi fra gli over 65 oggi il 40% dei Nord Africani e di chi vive in Medio Oriente ha il diabete di tipo 2, contro il 20% di Europa e Asia centrale. Nei prossimi trent’anni i numeri sono previsti essere drammatici. “Il rapido tasso di crescita del diabete non è solo allarmante, ma anche impegnativo per ogni sistema sanitario del mondo, soprattutto considerando che la malattia aumenta anche il rischio di cardiopatia ischemica e ictus”, ha affermato Liane Ong, autrice principale e Lead Research Scientist presso l’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) della School of Medicine dell’Università di Washington. Utilizzando lo studio Global Burden of Disease (GBD) 2021, i ricercatori hanno esaminato la prevalenza, la morbilità e la mortalità del diabete in 204 paesi e territori per età e sesso tra il 1990 e il 2021 e hanno previsto la prevalenza del diabete da qui al 2050.

Perché il diabete è un problema serio di salute pubblica

Il punto non è solo soffrire di diabete, ossia quante persone avranno necessità di assumere i farmaci per controllare la patologia, che già di per sé non sono accessibili a tutti con la stessa facilità. Si pensi che a produrre quasi tutta l’insulina sono solo tre grandi aziende: Eli Lilly, Novo Nordisk e Sanofi, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha in più occasioni ribadito – attraverso il“Global Diabetes Compact” – la necessità di accelerare la produzione di insulina di qualità garantita e a prezzi accessibili nei paesi a basso reddito. Il maggiore aumento di casi di diabete è previsto in Africa (+143%).
Il punto è che soffrire di diabete, specie non controllato, statisticamente rende più difficile affrontare altre patologie, reggerne le terapie. Ricorderemo che i diabetici in cui erano presenti delle complicanze da malattia erano una delle categorie più fragili da trattare quando entravano in contatto con COVID-19.

I motivi di questa crescita sono di due tipi: l’età media di allunga e gli stili di vita non stanno diventando molto più sani. Il diabete di tipo 2 origina infatti da fattori personali (genetici ereditari) e da abitudini di vita. L’epidemiologia ha studiato 16 fattori di rischio associati al diabete di tipo 2, ed è risultato che l’alto indice di massa corporea (BMI) rappresenta il rischio principale di sviluppare una forma di disabilità legata alla malattia. Il 52,2% della disabilità e della mortalità connesse al diabete di tipo 2 è legata al sovrappeso e all’obesità. Solo dopo vengono i rischi ambientali/occupazionali, il fumo, la scarsa o inesistente attività fisica e il consumo di alcol.
Si tenga presente che oggi in Italia il 42,4% degli adulti è in eccesso ponderale, il 31,6% in sovrappeso e 10,8% è obeso. 1 bambino europeo su 3 è in sovrappeso. Il sovrappeso e l’obesità sono tra le principali cause di morte e disabilità nella Regione Europea, con stime recenti che suggeriscono che causino più di 1,2 milioni di decessi all’anno, corrispondenti a oltre il 13% della mortalità totale. L’obesità è anche considerata una causa di almeno 13 diversi tipi di cancro ed è probabile che sia direttamente responsabile di almeno 200.000 nuovi casi di cancro all’anno in tutta la Regione, con questa cifra destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi anni.

Obiettivo cruciale: prevenire il sovrappeso

Il senso di parlare di questi numeri è che si può fare qualcosa per prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2. Il diabete, e in particolare la condizione di obesità a esso spesso connessa, è correlata a una maggiore incidenza di malattie croniche. Il rischio di contrarre malattie cardiovascolari, ad esempio, è da 2 a 4 volte più alto nelle persone con diabete rispetto al resto della popolazione. Studi epidemiologici condotti negli anni hanno osservato che chi soffre di diabete di tipo 2, corre un rischio maggiore di sviluppare alcuni tipi di tumori: al pancreas, al fegato, all’endometrio, al colon-retto, al seno, alla vescica.

Non è facile misurare scientificamente gli effetti di uno stile di vita, servono studi randomizzati e controllati. Due di questi, il Diabetes Prevention Program e il Finnish Diabetes Prevention Study, hanno evidenziato che una restrizione calorica, anche modesta e fare un p’ di attività fisica, riducono il rischio per le persone predisposte perché in sovrappeso, di ammalarsi di diabete di tipo 2 del 58-60%. Il gruppo a cui era stato semplicemente suggerito di fare più esercizio e mangiare meglio, aveva sviluppato il diabete molto di più rispetto a chi aveva usufruito di un piano preciso di esercizio e di corretta alimentazione.

Chiaramente il problema è a monte, è sistemico. Non si tratta solamente di fare promozione della salute a livello individuale, per sensibilizzare sulla necessità di mangiare in modo più sano e fare più attività fisica. Le abitudini derivano solo parzialmente dalla scelta del singolo, ma sono influenzate pesantemente dal contesto socioeconomico, e quindi occupazionale in primis, dove la persona è nata e vive.