Fermiamoci e leggiamo i dati INVALSI con calma. Come ogni anno è uscito il rapporto INVALSI, che prova a misurare le competenze dei ragazzi e delle ragazze in alcune classi di scuola elementare, media e superiore attraverso delle prove standardizzate in italiano, matematica e inglese.
E come ogni anno, all’indomani della presentazione del volume si alterna chi legge solo i dati delle prime righe dell’abstract del volume (lungo in realtà 133 pagine!) sintetizzando in maniera drammatica un presunto calo delle abilità dei giovani virgulti, e chi non è comunque d’accordo con il fatto stesso di standardizzare la valutazione delle competenze in modo così tranchant e usando indicatori così arbitrari. Posto che in qualche modo dobbiamo pur provare a misurare le competenze nel tempo, e per poter comparare i risultati è necessario usare gli stessi indicatori.
Il punto è decidere che cosa ci interessa misurare con questa analisi. Vogliamo descrivere con precisione che cosa sanno fare e che cosa non sanno fare i ragazzi? In questo caso qualsiasi insegnante sa bene che non sono sufficienti i dati delle prove INVALSI, che comprendono domande poste in un certo modo, uguali per tutti, solo su alcune abilità, per trarre conclusioni eccessivamente generalizzanti. In secondo luogo, chiariamoci qual è lo scopo finale di capire come leggono, parlano o fanno di conto i giovani oggi rispetto ai loro fratelli maggiori (non ai genitori, dato che non possediamo dati simili per le persone più adulte quando erano giovani). Ci interessa capire quanto i giovani oggi comprendano un avvenimento che accade nel mondo, che siano in grado di distinguere una buona da una cattiva fonte, e in questo senso i test di comprensione linguistica ci offrono una prima griglia per valutare quanti ragazzi hanno in quel momento bisogno di supporto maggiore per riuscire a capire quanto leggono. In quel momento, però. Non dimentichiamoci che le tappe dell’età evolutiva non arrivano per tutti allo stesso momento: alcuni bambini maturano dopo di altri, per non parlare dei tanti casi di ragazzi che non sono mai riusciti a esprimere appieno le proprie potenzialità nel mondo della scuola, ad esempio per manifestazioni di ansia o senso di inadeguatezza. Chi non ha avuto almeno un conoscente fiorito all’università, ad esempio.
Forse fra tutte le fasce d’età esaminate dalle prove INVALSI quella che può dirci qualcosa di più sulla futura adultità, riguarda i giovani al secondo anno delle scuole superiori, ossia il Grado 10 Invalsi (non tutti i ragazzi infatti arrivano al quinto e ultimo anno). Nel 2023 il 63% dei 15-16 enni ha raggiunto quello che viene definito livello L3, cioè le competenze minime richieste di comprensione testuale. Si tratta di saper individuare informazioni date esplicitamente in punti diversi del testo, ricostruire il significato di parole di uso comune, di termini tecnico-specialistici, di parole di registro formale e di uso letterario, e di espressioni figurate attraverso le informazioni presenti nel testo. Fare inferenze semplici che derivano dalla propria esperienza personale o scolastica, ricostruire il significato globale e cogliere il tema centrale del testo, in testi in cui le informazioni e i concetti fondamentali sono ripresi più volte. Si richiede di riconoscere tecniche narrative e stilistiche presenti nei testi e cogliere l’intenzione comunicativa principale dell’autore e lo scopo prevalente del testo.
Gli studenti del 2023 che hanno raggiunto questo livello sono leggermente di meno degli anni precedenti, con un gap notevole fra nord e sud del paese. Al Sud solo il 53% di chi frequenta la seconda superiore ha raggiunto i livelli minimi di comprensione testuale nelle prove, mentre al nord ci si attesta al 70%, con un calo più significativo dal pre-pandemia (2018-2019) al 2022-23. Già nominare la pandemia vi attribuisce una responsabilità, che andrebbe verificata con studi disegnati per questo scopo. Negli istituti professionali il quadro è più preoccupante: nelle situazioni migliori, l’esito medio si attesta al livello 2 (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, provincia autonoma di Bolzano, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Basilicata) mentre nelle restanti regioni non supera il livello più basso, ovvero il livello 1. Pertanto, mediamente in tutte le regioni, il risultato generale non raggiunge mai la soglia dell’accettabilità.
La terza domanda, forse più provocatoria, è quindi la seguente: le prove INVALSI misurano le capacità dei ragazzi o quella degli insegnanti e del sistema scolastico in generale? O forse la capacità delle famiglie di affiancare i propri figli nella formazione, e quindi la cristallizzazione nelle famiglie italiane? Si sa bene infatti – emerge da tutte le rilevazioni di Almalaurea e Almadiploma, ad esempio – che chi proviene da famiglie che stimolano alla lettura e che utilizzano nella quotidianità un vocabolario più ampio, ha risultati migliori anche a scuola. I dati INVALSI suggeriscono che l’impatto della famiglia di origine sugli esiti è maggiore nell’infanzia che successivamente. Il vantaggio medio per gli alunni di famiglie socialmente favorite si riduce considerevolmente alla fine del primo biennio del secondo ciclo d’istruzione, ad esempio.
Anche solo alla luce di queste semplici questioni è chiaro che i titoloni sui risultati delle prove sono da ritenersi di scarsa utilità per azzardare previsioni sugli adulti che saranno un domani i ragazzi di oggi.
Resta il fatto che questo test ci permette di individuare, grazie ad alcuni indicatori, alcune domande che il sistema scolastico dovrebbe porsi, in primis come arrestare la dispersione scolastica. Un ragazzo che esce dal sistema formativo non viene quasi mai recuperato, e non potrà migliorare l’anno successivo, anche qualora avesse ottenuto risultati bassi ai punteggi INVALSI.
Il punto forse più interessante del rapportone INVALSI è contenuto proprio alla fine: il capitolo che racconta che fine hanno fatto i ragazzi che erano in terza media nell’anno scolastico 2017-18, coloro i quali cio si dovevano diplomare nel 2022-23. La coorte esaminata era composta da circa 550mila studenti e studentesse che avevano svolto le prove INVALSI in III secondaria di primo grado di Matematica nell’anno 2017-2018. A giugno 2023, se tutto si è svolto in modo regolare, tali studenti dovrebbero essere stati in procinto di affrontare l’Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo d’istruzione. Solo 7 su 10 di loro sono arrivati sin qui. Un altro 11%ha accumulato uno o più anni di ritardo ma sta ancora frequentando le scuole superiori, e gli altri?