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Come funziona l’algoritmo che individua i voltagabbana della politica

Questa estate ha fatto parlare di sé un paper dal titolo Prevenire i cambi di partito attraverso il machine learning e gli open data. Si è parlato di intelligenza artificiale che stana i voltagabbana della politica. Ma come funziona l’algoritmo elaborato da alcuni docenti e ricercatori della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa? Davvero è in grado di costruire una sorta di vincolo di mandato digitale, che consente di capire in anticipo come si comporteranno i parlamentari, addirittura evitando di candidare i potenziali ribelli?

«Ma no, ma quella è psicostoria», ribatte Silvestro Micera, professore di Bioelettronica e Ingegneria Neurale alla Sant’Anna e ultima firma del paper. Il riferimento è a quella disciplina immaginaria, al centro del ciclo della Fondazione del padre della fantascienza Isaac Asimov, in grado di prevedere l’evoluzione della società umana. «Il nostro», aggiunge, «è un calcolo statistico, più ci si concentra sul singolo parlamentare e meno il modello diventa scalabile».

In altre parole, identifica un pattern di comportamento comune a tutti coloro che vogliono cambiare gruppo parlamentare, in una dinamica di scollamento che qualunque capogruppo sarebbe in grado di individuare. Posto, ovviamente, che sappia fare il proprio mestiere. Detto altrimenti: nel modello in questione, casi come quelli dei responsabili che salvarono l’ultimo governo Berlusconi nel 2010 o con cui si tentò di salvare il Conte bis nel 2021 figurerebbero come outlier. Eccezioni che confermano la regola, per dirla fuori dal gergo statistico. Ma come funziona, allora, questo algoritmo?

Intanto, come tutti, si nutre di dati. Nello specifico, quelli relativi al comportamento di voto dei singoli parlamentari, disponibili sul portale open data della Camera dei Deputati, perché è solo su quest’ultima che si è concentrata l’analisi. In particolare, il modello è stato sviluppato sulla XVII legislatura, durata dal 2013 al 2018. Per intenderci, quella che vide l’ingresso dei grillini in parlamento e che portò al governo Letta, sostenuto da centrosinistra e Forza Italia, e a quelli Renzi e Gentiloni, nella cui maggioranza entrarono alcuni parlamentari ex forzisti riuniti sotto l’insegna del Nuovo centrodestra. E quindi testato anche sulla XVIII, quella del M5S primo partito, della diaspora grillina, dei due governi Conte e dell’esecutivo Draghi.

Si tratta di due legislature nelle quali il fenomeno dei cambi di gruppo ha raggiunto livelli record. «Questo aspetto ci ha fornito una base di dati maggiore sulla quale lavorare», afferma Micera, spiegando come questo non abbia influito sulle conclusioni finali. All’algoritmo è stato chiesto di valutare diversi elementi: la presenza in aula, la partecipazione al voto, il voto espresso e se quest’ultimo fosse o meno in linea con quello della maggioranza alla Camera così come con la maggioranza del gruppo di appartenenza. Ed è per questi ultimi, oltre che per le astensioni e per la partecipazione ai voti segreti, che i valori mediani erano significativamente diversi per quei parlamentari che hanno cambiato gruppo.

In altre parole, sono questi i fattori quantitativi che consentono di capire quando un parlamentare si prepara a fare le valigie, politicamente parlando. Con un tasso di affidabilità del 73%, l’algoritmo è in grado di prevedere un cambio di casacca con due mesi di anticipo rispetto a quando la decisione viene ufficializzata. E qui è importante fare due precisazioni. La prima riguarda il fatto che questa previsione è costruita guardando al passato, ovvero elaborata a legislatura conclusa. «Vorremmo evitare di concentrarci sulla predizione del futuro, anche perché ogni legislatura è specifica per varie ragioni e, di conseguenza, sono molti gli elementi che influenzano l’analisi, dal tipo di coalizioni in campo alla legge elettorale».

Senza contare, aggiunge Micera, che «se fossimo in grado di scrivere l’algoritmo che determina il comportamento di coloro che vogliono cambiare gruppo, questi ultimi cambierebbero il proprio. Mi sembra improbabile che un giorno i capigruppo useranno il nostro algoritmo per capire come gestire i propri parlamentari». Un’esperienza à la Moneyball, il film che racconta di come la squadra di baseball degli Oakland Athletics abbiano fatto il record di vittorie con una squadra costruita a partire dai dati, può valere nello sport, difficilmente troverà applicazione nella politica.

Anche perché, e questa è la seconda delle precisazioni, l’analisi condotta dal gruppo di lavoro di giuristi e ingegneri della Sant’Anna si basa sui comportamenti e non sulle cause. Ovvero su come si siano comportati i parlamentari prima di cambiare casacca più che sulle ragioni che li abbiano portati a questa decisione. «In questo modo l’approccio è completamente data driven: non c’è alcuna assunzione di fondo a priori, abbiamo preso i fatti e li abbiamo lasciati parlare. Ci è sembrata la modalità più corretta sia per evitare di polarizzare il modello con le idee politiche che ciascuno di noi ha, sia per renderlo scalabile». Ovvero applicabile ad altre legislature o ad altri parlamenti.

Perché è esattamente su questo che ora si concentrerà il team di ricerca dell’università pisana. «Abbiamo una miniera di dati che i funzionari della Camera, ma anche del Senato, hanno messo a disposizione, noi abbiamo semplicemente iniziato a scavare. Ad esempio, bisognerebbe studiare quali sono le dinamiche all’interno delle commissioni parlamentari». Se cioé anche in quelle sedi si manifesti, e in che modo, un comportamento spia di un futuro cambio di partito. Il tutto, ricordando sempre che quello con i dati è più efficace se è un lavoro di squadra: «in questo caso il datascientist deve lavorare, ad esempio, con chi conosce il diritto costituzionale. Questo tipo di analisi», conclude Micera, «funzionano se gli statistici lavorano a fianco degli esperti del settore che stanno analizzando».