La letteratura scientifica ha evidenziato da sempre che sovrappeso e obesità sono correlate con una maggiore incidenza di malattie croniche anche invalidanti, una fra tutte il diabete di tipo 2. Le persone obese sono tendenzialmente molto più sedentarie di chi è normopeso, e hanno un’alimentazione peggio bilanciata, fattori a loro volta influenzati dal contesto familiare e dunque socio-economico in cui queste persone sono nate e vissute. Questo dice l’epidemiologia, cioè lo studio di come le condizioni cliniche si distribuiscono fra la popolazione a seconda delle caratteristiche e dei fattori di rischio.
Ma non basta. Peso corporeo e adiposità non sono sinonimi. Un nuovo studio pubblicato su PLOS One evidenzia che l’indice di massa corporea da solo non cattura completamente il rischio di morte, in particolare per una popolazione statunitense che è sempre più obesa e appartenente ad etnie diverse.
Lo studio ha invece analizzato i dati di recenti survey condotte negli Stati Uniti dal 1999 al 2018 sulla salute di circa 554.000 residenti negli Stati Uniti, inclusi quasi 200.000 adulti di etnia asiatica, neri non ispanici, ispanici, di etnia mista e nativi americani. Risultato: l’obesità è associata a un aumento del rischio di mortalità per tutte le cause, mentre il “semplice” sovrappeso lo è molto meno. In un follow-up mediano di 9 anni, si sono avuti 75.807 decessi e il rischio di morte è rimasto più o meno lo stesso per gli adulti il cui BMI variava da 22,5 a 29,9, dunque alla soglia dell’obesità. Risultava invece aumentato significativamente per gli adulti con un BMI di 30 o superiore, ma anche per gli adulti con un BMI inferiore a 18,5, considerati quindi sottopeso.
Esaminando il rischio per fascia di età, Visaria si è detto sorpreso di scoprire che tra le persone di età pari o superiore a 65 anni, il rischio di mortalità era simile per tutte le classi di peso, tranne i grandi obesi. Tra i giovani adulti invece, il rischio di morte era aumentato significativamente per chi presentava un BMI superiore a 27,5.
Significa che essere in sovrappeso ma non obesi non va così male? No. Significa che il BMI non è probabilmente l’indicatore migliore per capire quanto l’adipe incida sullo stato di salute complessivo di una persona. Questa analisi ha esaminato solo la mortalità per tutte le cause, non l’associazione tra BMI e rischio di malattie cardiovascolari o di diabete nello specifico, che insieme all’ipertensione, sono le principali cause di morte prematura negli Stati Uniti ed è assodato che un BMI elevato contribuisce a queste condizioni. “È importante iniziare a includere altre misure di adiposità – scrivono gli autori – per cercare di stratificare meglio il rischio delle persone”. A giugno, 2023 l’American Medical Association ha esortato i medici a non utilizzare singolarmente il BMI come indicatore per valutare se una persona ha un peso forma oppure no.
Per ragioni pratiche il peso corporeo è stato utilizzato come un surrogato dell’adiposità, che non è altrettanto semplice da misurare. L’obesità è stata definita per la prima volta cinquant’anni fa in riferimento a un “peso ideale”, che veniva calcolato dalle compagnie assicurative perché era il peso associato a un basso rischio di morte prematura. Negli corso degli anni Ottanta si è iniziato a parlare di BMI (Body Mass Index – Indice din massa corporea) che si calcola come peso/altezza al quadrato): una persona con Bmi tra 25–30 è sovrappeso, sopra i 30 è considerata obesa. I dati raccolti dagli anni Sessanta agli anni Novanta, tuttavia, includevano prevalentemente uomini e donne caucasici.
In realtà nel corso degli anni la letteratura medica ha evidenziato che la correlazione fra BMI e mortalità e morbilità (incidenza di malattie croniche) può variare in differenti gruppi etnici. Studi recenti, per esempio, suggeriscono che la circonferenza addominale sia un indicatore più accurato dell’obesità e del relativo rischio di malattia.
Non tutte le obesità sono uguali. Francisco Lopez-Jimenez, MD, MBA, presidente della divisione di cardiologia preventiva e direttore del programma cardiometabolico presso la Mayo Clinic statunitense, ha osservato in un’intervista a JAMA, Journal of American Medical Association, che gli adulti ispanici in sovrappeso avevano un rischio di morte più elevato rispetto agli adulti caucasici e neri non ispanici in sovrappeso.
Un ultimo elemento che andrebbe maggiormente considerato è il cambiamento nella composizione corporea che si verifica con l’invecchiamento. Il BMI non cattura le differenze nella perdita di massa muscolare, forza o funzione correlata all’età, e non distingue tra persone con adiposità centrale o deposizione adiposa in altri tessuti. “Per gli ispanici, il rischio di morte inizia a salire quando il BMI è sui 27 o 28, un trend che invece non si vede nell’intera coorte e nei caucasici in particolare” conclude Lopez-Jimenez. “Una possibile ragione di ciò, ha aggiunto, è che gli ispanici hanno la tendenza a sviluppare l’obesità centrale, che è associata a un rischio di mortalità per tutte le cause più elevato.”