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La maggior parte degli studi su COVID-19 sono stati condotti da enti no profit

Contrariamente alla tendenza generale, che vede il settore profit dominare la scena delle sperimentazioni cliniche in Italia, la maggior parte degli studi su COVID-19 fra il 2020 e il 2022 compreso, sono stati condotti da enti no profit: 61 versus 46. Lo mostrano i dati che AIFA ha pubblicato recentemente, contenuti nel rapporto dal titolo La Sperimentazione Clinica dei Medicinali in Italia.

Con la pandemia di COVID-19 si è registrato un prevedibile avanzamento delle sperimentazioni autorizzate nell’area delle malattie virali, ma prevalentemente nel 2020, quando dalle 22 del 2019 si è arrivati a 63 sperimentazioni, che rappresentavano il 9,2% del totale dei trial. Già nel 2021 infatti, le sperimentazioni per malattie virali sono state 45 (il 5,5% del totale) e 28 nel 2022 (il 4,2%). Più della metà delle sperimentazioni cliniche autorizzate nel 2020 riguardavano la categoria degli Antineoplastici e immunomodulatori (solo il 3,4% in meno rispetto al pre-pandemia). Per i puntigliosi, a pagina 70 e seguenti del rapporto c’è l’elenco di tutti i trial con i dettagli.
Sappiamo inoltre che delle 107 sperimentazioni autorizzate nel triennio 2020-2022, 97 sono stati studi randomizzati controllati, mentre i restanti studi in aperto a braccio singolo. 95 erano trial multicentrico (hanno cioè coinvolto pazienti da più centri) e solamente 12 monocentrici. A differenza di quanto si verifica per le sperimentazioni in generale è risultata ridotta la quota di sperimentazioni multinazionali, perché i trial multicentrici per COVID-19 sono stati in larga parte nazionali. Il rapporto storico fra sperimentazioni nazionali e sperimentazioni multinazionali, in Italia, si è quindi profondamente modificato nell’ambito degli studi sul COVID-19, con una forte prevalenza di sperimentazioni nazionali, pari al 55,8%, a fronte di un 44,2% di sperimentazioni multinazionali.

L’attività sperimentale nelle prime fasi della pandemia si è concentrata soprattutto sul cosiddetto “riposizionamento” di farmaci esistenti, ossia la valutazione di usare farmaci autorizzati contro alcuni patogeni, anche per SARS-CoV-2, essendo ancora troppo limitate le conoscenze sulla patologia e sugli esatti meccanismi eziopatogenetici, portando a una netta prevalenza di studi di fase II e III. L’area terapeutica maggiormente indagata è ovviamente quella delle malattie virali, riguardante i tre quarti degli studi, seguita dalle malattie delle vie respiratorie. Per quanto attiene alla tipologia di medicinale usato come IMP (investigational medicinal product) di test, negli studi su COVID-19 sono stati utilizzati 98 principi attivi, dei quali oltre la metà di natura chimica, mentre quelli di natura biologica/biotecnologica costituiscono il 43%. Infine, oltre l’85% delle sperimentazioni hanno riguardato pazienti e soggetti adulti e anziani. Un chiarimento: prima che i bambini vengano inclusi negli studi clinici è necessario che siano disponibili e valutati i dati di sicurezza provenienti dagli adulti.

Poche sperimentazioni COVID. Perché?

Il Decreto Legge del 17 marzo 2020, in piena crisi emergenziale, aveva stabilito che tutti gli studi clinici su COVID-19 fossero approvati da AIFA e che il parere unico fosse fornito dal Comitato etico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. Se da una parte nel 2020 le proposte di studi clinici presentate erano state molte più del normale (277 richieste di autorizzazione alla conduzione di studi su COVID-19 riguardanti 222 distinte proposte di sperimentazione), in linea con quanto avvenuto in tutto il mondo, solo pochi di questi studi (107) sono arrivati all’autorizzazione da parte di AIFA.

Molti studi, infatti, hanno incontrato difficoltà nella partenza o in corso. Questo in primo luogo in ragione del fatto che condurre studi clinici relativi a una nuova malattia mai valutata precedentemente presenta maggiori incognite rispetto a malattie note. Da una parte per l’esigenza di arruolare nel minor tempo possibile il maggior numero di persone, per una patologia che ha visto l’Italia interessata da ondate subentranti a distanza di pochi mesi, ma anche in ragione dell’onere aggiuntivo che la conduzione di uno studio clinico comporta su strutture organizzative già messe a dura prova dalla gestione quotidiana dell’emergenza clinica. A tutto ciò deve aggiungersi anche il fenomeno della molteplicità degli studi in contemporanea, che ha determinato spesso una parcellizzazione e dispersione dei soggetti arruolabili in tanti piccoli studi. “La centralizzazione del processo valutativo – si legge nel rapporto – ha arginato tale fenomeno solo marginalmente, senza riuscire a convogliare con regolarità proposte simili in un unico studio più ampio, spesso anche a causa di mere logiche di prestigio accademico.”

La seconda considerazione contenuta nel rapporto di AIFA è piuttosto dura e riguarda il numero rilevante di proposte di studi clinici che non hanno superato il vaglio attento e rigoroso della Commissione. Non solo in Italia, ma nel mondo intero, la pandemia da COVID-19 ha avuto un enorme impatto sulla ricerca clinica, determinando un aumento senza precedenti del numero degli studi clinici registrati sui database internazionali. “Soprattutto nelle fasi iniziali, l’ansia e le pressioni per ottenere rapidamente dati ed evidenze sull’efficacia dei vari trattamenti proposti ha portato a proporre molti studi di scarso valore metodologico e di discutibile valenza clinica, di piccole dimensioni e spesso senza gruppi di confronto, di conseguenza con nessuna possibilità di ottenere risultati affidabili.

Terzo: la principale motivazione addotta da chi seguiva studi che non sono stati poi pubblicati è che le tempistiche di attivazione dei centri, anche dopo la veloce approvazione da parte dell’Agenzia e del Comitato Etico Unico, non avevano consentito lo svolgimento dello studio nella fase di massimo picco epidemico del COVID-19, rendendo difficile successivamente reclutare soggetti per il mutato scenario epidemiologico. “Alla semplificazione delle procedure di valutazione e approvazione – si legge nel rapporto AIFA – dovrebbe necessariamente far seguito uno snellimento delle procedure propedeutiche agli adempimenti normativi, aspetto che probabilmente troverà già una prima soluzione con l’implementazione del Regolamento 536/2014, attivo solo dal 1 gennaio 2022, di cui abbiamo parlato più ampiamente la scorsa puntata