Per la prima volta nella storia, il 3 dicembre 2023, la COP28 sui cambiamenti climatici ha dedicato un’intera giornata alla salute. Questa giornata è incentrata sulla necessità di adattare i sistemi sanitari a livello mondiale in risposta ai cambiamenti climatici e agli oneri finanziari derivanti dalle crisi climatiche e sanitarie.
Le evidenze sono sempre più schiaccianti. Un grosso studio pubblicato sul British Medical Journal disegnato per stabilire l’interazione sinergica di PM2,5 e Ozono e la mortalità, ha confermato una correlazione fra le quantità combinate di questi inquinanti e i decessi per tutte le cause, per malattie cardiovascolari e respiratorie. I dati analizzati provengono da 372 città di 19 paesi nel mondo, e sono stati raccolti dal 1994 al 2020. In questo periodo le concentrazioni medie annuali di PM2,5 e O3 nelle 372 città sono risultate rispettivamente di 11,4 μg/m3 e di 54,3 μg/m3. In 25 anni 19,3 milioni di decessi per tutte le cause sono risultati attribuibili all’inquinamento atmosferico di questo tipo: 5,3 milioni per malattie cardiovascolari e 1,9 milioni per malattie respiratorie.
L’impatto del PM2,5 è aumentato dall’ozono
Ma c’è di più. È stata identificata anche un’interazione sinergica significativa tra PM2,5 e ozono per la mortalità totale, che significa che l’uno alimenta i cattivi effetti dell’altro. L’ indice di sinergia è di 1,93, 1,37 e 1,36 rispettivamente per la mortalità totale, quella cardiovascolare e i decessi per malattie respiratorie. In generale, un’indicazione >1 denota un’interazione sinergica, mentre un numero <1 indica un’interazione antagonista. Si tratta di misure volte a stabilire l’interazione tra inquinamento atmosferico e rischio di mortalità. Già studi precedenti avevano utilizzato questo approccio, riportando un effetto congiunto più elevato di PM2,5 e O3 sul rischio di parto pretermine.
Il meccanismo è questo: l’ozono contribuisce al riscaldamento del clima e la combustione del carbone rilascia particolato, che a sua volta aumenta il rischio di mortalità.
Per esempio, la variazione percentuale della mortalità totale associata a un incremento di 10 μg/m3 di PM2,5 è risultata essere dello 0,47%, 0,70% e 1,25% rispettivamente per livelli bassi, medi e alti di esposizione all’ozono, mostrando un chiaro schema di interazione tra PM2,5 e O3. “Studi precedenti avevano già individuato risultati simili” si legge nell’articolo. Una ricerca, ad esempio, aveva osservato associazioni fra livelli di PM10 (a un aumento di 10 μg/m3) che andavano dallo 0,21% allo 0,37% via via che le concentrazioni di Ozono si facevano più elevate. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18348410/
Gli effetti alle diverse latitudini
Alle alte latitudini, il PM2,5 ha avuto un impatto stimato maggiore sulla mortalità respiratoria con una maggiore esposizione all’ozono, mentre nelle basse latitudini, questa interazione è stata osservata solo per la mortalità cardiovascolare.
Le associazioni stimate di O3 con la mortalità cardiovascolare erano maggiori per una maggiore esposizione a PM2,5 nella regione a bassa latitudine, sebbene la differenza tra i gruppi non fosse significativa.
Gli effetti stagionali
Esistono anche fattori regionali e stagionali che potrebbero modificare le interazioni tra PM2,5 e O3 con la mortalità. Le associazioni interattive sono risultate essere più marcate nelle città situate a latitudini più elevate, cioè andando verso i poli. “Poiché le aree ad alta latitudine di solito hanno condizioni ambientali con temperature più basse potrebbero esserci potenziali interazioni sinergiche tra le basse temperature e gli inquinanti atmosferici” si legge nello studio. Queste differenze nella composizione del PM2.5 hanno il potenziale di modificare le associazioni tra PM2.5 e mortalità e la sua interazione con l’ozono. Inoltre , le reazioni fotochimiche che producono O3 producono anche altri composti reattivi, come il perossiacetilnitrato, le cui concentrazioni sono correlate con l’ozono.
Per quanto riguarda le stime degli effetti di PM2,5 e O3 sulla mortalità, ci si aspetterebbe che siano generalmente maggiori nella stagione calda, mentre i risultati dell’indice di sinergia hanno rivelato effetti maggiori durante la stagione fredda. Questa osservazione potrebbe essere attribuita alle differenze stagionali nella composizione del PM2,5 e alle diverse condizioni di dispersione degli inquinanti atmosferici.
Lo studio ha identificato interazioni degne di nota tra i due inquinanti atmosferici sia nella stagione calda che in quella fredda, nonostante le differenti dinamiche stagionali. Tipicamente in inverno le condizioni atmosferiche stagnanti – con la normale diminuzione della temperatura, che col crescere dell’altitudine viene invertita causando l’intrappolamento dell’aria più calda vicino al suolo – contribuiscono a creare una forte foschia, con conseguente aumento dell’inquinamento correlato al PM2,5. Al contrario in estate l’intensa radiazione solare promuove la generazione fotochimica di ozono.
Inoltre, l’ozono può avere effetti sinergici con altri inquinanti atmosferici (ad esempio, ossidi di azoto) durante la stagione fredda. “Tuttavia – concludono gli autori – sono necessari ulteriori studi per replicare questi risultati, comprendendo popolazioni più grandi, diverse regioni geografiche e ulteriori metodologie complementari”.