Non esistono open data governativi a livello nazionale sulle malattie infettive in Italia. Eppure l’idea c’è, e ora abbiamo anche la prassi. Un team di ricercatori italiani ha pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature un articolo che racconta un esperimento molto interessante: la raccolta di un set di dati completo sui focolai del virus del Nilo occidentale (West Nile fever) che si sono verificati in Italia in dieci anni, da settembre 2012 a novembre 2022.
Nel dettaglio le cose funzionano così: le regioni, in piena autonomia definiscono i documenti normativo-programmatici per la Sorveglianza epidemiologica e di laboratorio sul loro territorio e trasmettono i dati all’ISS e al Ministero, il quale trasmette poi i dati alla Commissione europea e all’ECDC. Nel frattempo il Dipartimento di Malattie infettive dell’ISS, con il coordinamento dell’Ufficio V della Direzione Generale della Prevenzione del ministero della Salute e in collaborazione con il Centro studi malattie esotiche (CESME) dell’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, pubblica i dati del sistema di sorveglianza in un bollettino periodico in formato .pdf.
Il team di ricercatori, afferenti all’Università Campus Bio-Medico di Roma, all’Università degli Studi Roma Tre, alla Lumsa e all’Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze, ha pensato di creare un archivio centralizzato ad accesso aperto – Open data – digitalizzando i bollettini pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità per dimostrare il potenziale utilizzo di questi dati per facilitare l’analisi e il monitoraggio della malattia. I dati sono ora disponibili su GitHub.
Sono state raccolte informazioni sul tipo di ospite infetto, insieme a informazioni aggiuntive ove disponibili, sul tipo di infezione, sull’età delle persone colpite, unitamente a dettagli geografici. Complessivamente, l’Italia in 10 anni ha contato un totale di 1576 infezioni da virus West Nile (WNV), con una media annua di 143 casi. Tuttavia, tutti i focolai sono stati lievi, tranne quelli del 2018 e del 2022, per i quali sono stati registrati rispettivamente 581 e 599 focolai. Escludendo questi due anni dal calcolo si ottiene una media annua di soli 44 casi, corrispondenti a < 1 caso per ogni milione di residenti.
Nel database vengono anche riportati i casi settimanali di infezioni da WNV nelle zanzare e negli uccelli selvatici a livello provinciale. Il virus della West Nile è stato trovato infatti in di 52 diverse specie di uccelli selvatici nel corso degli anni.
“Combinando i nostri dati con altre fonti di informazione come i dati meteorologici, diventa possibile valutare le potenziali relazioni tra le epidemie del virus del Nilo occidentale e i fattori ambientali” si legge nello studio. “Quello che abbiamo fatto noi può essere ripetuto anche per altri patogeni come fatto in passato in altri studi come ad esempio per Mpox, Ebola e influenza aviaria” ci racconta Francesco Branda, uno degli autori del paper. “Più in generale, quello che si cercherà di sviluppare in futuro è una piattaforma open come questa dove chiunque lavori in questo ambito potrà cercare il patogeno di interesse e scaricare i dati relativi al patogeno per le proprie ricerche”. “È poi una questione di trasparenza – continua Branda. “Gli open data svolgono un ruolo cruciale nel generare risultati affidabili consentendo una maggiore trasparenza governativa”.
Avere un set di dati completamente aperto e facilmente disponibile anche su altre malattie infettive in Italia può essere molto utile per diversi motivi:
1. Ricerca e analisi. Il set di dati può rappresentare una risorsa preziosa per ricercatori e scienziati che studiano il virus della West Nile e il suo impatto sulla salute pubblica. I dati possono servire per analizzare i modelli delle epidemie sviluppando al tempo stesso strategie efficaci di prevenzione e controllo.
2. Monitoraggio e sorveglianza. Un set di dati aperto consente il monitoraggio e la sorveglianza continui delle epidemie. Le autorità sanitarie pubbliche, i ricercatori e i politici possono accedere regolarmente ai dati per monitorare la diffusione del virus, identificare le aree ad alto rischio e implementare interventi tempestivi. Queste informazioni possono aiutare a fornire una risposta rapida e misure proattive per prevenire ulteriori trasmissioni.
3. Collaborazioni fra istituzioni. Gli open data promuovono la collaborazione tra ricercatori, istituzioni e organizzazioni che lavorano in questo caso sul WNV. Questa collaborazione può portare a strategie più efficaci per la prevenzione e il controllo delle malattie.
4. Supervisione pubblica. Rendere il set di dati liberamente disponibile supporta il controllo pubblico sulla gestione dell’epidemia da parte del governo. Consente la trasparenza e consente ai cittadini, ai giornalisti e ai gruppi di difesa di esaminare i dati, valutare la risposta del governo alle epidemie di WNV e ritenere le autorità responsabili.
5. Miglioramento delle capacità predittive e di modellazione. L’accesso a un set di dati completo e aperto migliora l’accuratezza e l’affidabilità delle capacità predittive sulle malattie. Modelli accurati possono aiutare nei sistemi di allarme rapido, nella pianificazione delle risorse e negli interventi mirati.