Nel suggestivo panorama dell’animazione mondiale, Hayao Miyazaki, il maestro giapponese delle favole animate, è tornato ad incantare il pubblico con il suo ultimo capolavoro cinematografico, “Il ragazzo e l’airone”, a distanza di un decennio dal suo ultimo lavoro interamente curato sa per sceneggiatura che per quanto riguarda la regia.
Dopo una carriera straordinaria che abbraccia oltre quattro decenni, Miyazaki ci invita ancora una volta nel suo mondo magico, dove la realtà si fonde con la fantasia in un connubio unico di emozioni visive e narrative in cui il nuovo film, attesissimo dai fan di lunga data e dai nuovi spettatori, ha portato gli spettatori in un viaggio indimenticabile, affrontando temi universali con la maestria che contraddistingue il regista.
Nato il 5 gennaio 1941 a Bunkyo (Tokyo) Hayao Miyazaki è divenuto un’icona mondiale nell’ambito dell’animazione, trasformando il panorama cinematografico con la sua straordinaria abilità di creare mondi magici e storie avvincenti attraverso una sua carriera eclettica che dura da più di cinque decenni, dando vita a un’eredità che va ben oltre il suo paese natale.
La passione per l’arte e l’animazione, coltivata in contemporanea al conseguimento di una laurea in scienze politiche ed economia presso la Gakushuin University, lo ha portato ad iniziare la sua carriera nell’industria dell’animazione nel 1963 presso lo studio Toei Animation, dove ha lavorato su diverse produzioni, acquisendo esperienza e perfezionando le sue abilità.
Dopo alcune serie animate tra cui non si può non citare “Conan il ragazzo del futuro”, il debutto di Miyazaki come regista per un film è avvenuto nel 1979 con “Il castello di Cagliostro“, attirando subito l’attenzione grazie al suo stile visivamente unico e alla trama coinvolgente, dando il via a quello che sarebbe diventato un percorso destinato a lasciare un segno indelebile nella storia dell’animazione.
Dal suo estro, unito a quello del collega Isao Takahata, nel 1985 nacque lo Studio Ghibili, vero e proprio impero dal sapore artigianale che anche a distanza di quasi quarant’anni continua a produrre pellicole di qualità inconfondibile e che sono prese come riferimento anche da i nuovi artisti che si stanno cimentando con l’impresa – tutt’altro che banale – di affermarsi nello stesso ambito.
Miyazaki è noto per la sua abilità nel trattare temi universali come l’amore per la natura, la comprensione reciproca e la ricerca del significato della vita ed ha uno stile unico che combina l’estetica tradizionale giapponese con una narrazione complessa, dando vita a mondi fantastici in cui creature straordinarie si mescolano con la realtà quotidiana.
Per questi e mille altri motivi, noi di Info Data abbiamo deciso di fare un mini data tributo in concomitanza con la recente uscita nelle sale dell’ultima fatica, andando a ripercorrere i dodici titoli che il maestro giapponese ha seguito a tutto tondo negli ultimi 44 anni (per i quali ha firmato sia sceneggiatura che regia), recuperando le valutazioni di Metacritic e di IMDb per ciascuna pellicola.
Ci siamo chiesti se avesse davvero senso classificarvi queste piccole grandi perle basandoci “solo” sui numeri e ci siamo detti che, forse, l’unico insight che vogliamo condividere direttamente – lasciando che poi diate un’occhiata personale al resto – è che c’è un film che trova concordanti su entrambe le piattaforme risultando il “migliore” su ambo i fronti.
Ci riferiamo a “La città incantata”, uscito nelle sale nel 2001, la cui trama segue le avventure di Chihiro, una giovane ragazza che si trova coinvolta in un misterioso e surreale mondo spirituale e che, nel corso della storia, passa da essere una giovane spaventata ad una figura coraggiosa attraverso sequenze di volo e trasformazioni magiche visualmente sbalorditive, tra le note della colonna sonora firmata da Joe Hisashi come tocco di classe che avvolgono lo spettatore nell’atmosfera magica del film.
Come anticipato, non vogliamo soffermarci in particolar modo sulle due classifiche in sé, ma ci sono un paio di dettagli che catturano comunque il nostro occhio clinico verso il dato, specialmente quando questo ci propone uno scenario numericamente curioso.
Partendo dal presupposto che tutte le pellicole esaminate riportano punteggi più che buoni, equiparabili sempre ad un rotondo 7+ come minimo, c’è un titolo che figura come secondo miglior risultato da una parte mentre dall’altra la sua performance è diametralmente opposta, ottenendo infatti il penultimo risultato.
“Principessa Mononoke” infatti conquista un ottimo 8,3 su IMDb, mentre non va oltre il 76 su Metacritic (meglio solo del 72 di “Lupin III – Il Castello di Cagliostro” del 1979), dividendo così la platea quantomeno in termini di gradimento “relativo” rispetto alla filmografia interamente curata da Miyazaki.
Per i pochi che non lo avessero ancora visto, il film tratta le gesta di Ashitaka, un principe maledetto da una ferita demoniaca mentre cerca di comprendere la causa della furia degli spiriti della foresta che, durante il suo viaggio, si imbatte nella feroce Principessa Mononoke, una giovane donna che lotta per proteggere la sua casa dagli invasori umani.
Mescolando azione, dramma e una profonda riflessione sulla coesistenza tra l’umanità e la natura, Miyazaki ci regala una storia coinvolgente, abbracciando la bellezza e la brutalità del mondo, lasciando il pubblico alle prese con una profonda riflessione sulla delicatezza del nostro legame con il mondo, andando ben oltre al concetto di film di animazione, offrendo uno sguardo profondo sulla natura umana e sulla complessità delle relazioni tra uomo ed ambiente.
Se molte delle opere di Miyazaki sono ambientate in mondi di pure fantasia, con alcuni richiami o ambientazioni più realistiche collegate al suo amato Giappone, c’è un film che trova una dimensione decisamente vicina al nostro Bel Paese.
“Porco Rosso” è infatti un affascinante capolavoro che mescola abilmente avventura, romanticismo e una sottile dose di nostalgia nella magica cornice del Mar Adriatico durante l’era post-Prima Guerra Mondiale, trasportandoci nel mondo di un ex-pilota da caccia, trasformato in un curioso ma carismatico cinghiale antropomorfo noto appunto come Porco Rosso, del quale rimane memorabile una sua citazione in merito alle sue simpatie politiche quando gli viene proposto di ri-arruolarsi nell’aeronautica.
Se state leggendo queste righe, al 90% dovreste sicuramente essere già a conoscenza dello Studio Ghibli citato qualche paragrafo più in alto e, di conseguenza essere familiari con quello strano essere assimilabile grosso modo ad un incrocio tra un orso ed un procione (o al tanuki della tradizione giapponese) che compare nel logo a fianco del nome.
Se doveste invece far parte del 10% che non è a conoscenza, sappiate che il nome di quella simpatica creatura è Totoro, involontaria co-protagonista ed ispiratore del titolo “Il mio vicino Totoro” ambientato nella campagna giapponese degli anni ’50 che segue le avventure delle due sorelle, Satsuke e Mei, trasferitesi in una casa rurale con il padre per essere più vicine alla madre malata.
La trama, seppur apparentemente semplice, si sviluppa con una grazia e una poesia uniche attraverso cui Miyazaki cattura la meraviglia dell’infanzia e la connessione con la natura in modo così autentico che il film diventa una celebrazione della semplicità e della bellezza nella vita di tutti i giorni.
La dolcezza e l’innocenza dei personaggi, insieme alla magia visiva dell’animazione e all’apparizione di animali di ogni fattezza che vengono inseriti negli spaccati più puri del paesaggio rurale giapponese contribuiscono a rendere il film irresistibilmente affascinante (nonché il preferito del sottoscritto tra tutti i titoli esaminati, per quel che conta).
Confidenti di lasciarvi infine alla vostra personale opinione sui punteggi attribuiti a tutti e dodici i film, se per caso non foste mai stati catturati dalla magia del maestro Miyazaki, datevi da fare: potreste cominciare a porre rimedio a questa lacuna partendo, perché no, proprio dall’ultimo arrivato nelle sale che, senza troppe sorprese, non possiamo fare altro che consigliarvi!