Qualche tempo fa, in un articolo su questo blog, avevo sottolineato il rischio della possibilità dell’avvento del partyism anche in Italia, dopo gli Stati Uniti. Ovvero l’emergere di una polarizzazione nell’elettorato non più ideologica, ma affettiva. In cui il confronto politico è sostituito dalla lotta (e dalla faziosità) tribale, e in cui la partigianeria esce fuori dall’area prettamente politica, per diventare parte della vita di tutti i giorni, in tutti i suoi aspetti, compreso quelli più privati. In un recente sondaggio effettuato subito dopo le elezioni del 2022 su un campione rappresentativo di italiani, assieme ad alcuni colleghi, abbiamo cercato di capire meglio se effettivamente quello di cui sopra era solo un timore o qualche cosa di più.
Il termometro del sentimento nelle elezioni del 2022
In primo luogo, abbiamo voluto stimare un “termometro del sentimento” degli elettori italiani, in cui i rispondenti al sondaggio hanno dovuto indicare su una scala da 0 a 100 il loro apprezzamento per ciascun partito, dove 0 indica la massima distanza e il 100 la massima vicinanza o apprezzamento. Come emerge dalla Figura 1, in media gli italiani mostrano livelli di apprezzamento verso il partito che hanno votato tra il 70 e l’80, un dato che scende a 20 punti (se non ancora più in basso) per la principale area contrapposta (il centro-destra se si tratta di elettori del centro-sinistra o del M5S, il centro-sinistra se si tratta di elettori del centro-destra, il M5S se si tratta di elettori del Terzo Polo). Non inganni il dato più contenuto che la figura mostra per il centro sinistra (tra gli elettori di centro sinistra) e per il centro destra (tra gli elettori di centro destra). Quel dato è semplicemente la media calcolata sugli elettori di diversi partiti della medesima area. Ovvero, se prendiamo gli elettori di centro-destra, il “sentimento” riportato nella figura verso il medesimo centro-destra è la media di quanto gli elettori dei Fratelli d’Italia, della Lega e di Forza Italia riportano verso i tre partiti (anche di quelli che quindi non hanno votato). Se invece andiamo a guardare il sentimento verso il proprio partito entro la medesima area, il dato dell’apprezzamento tra il 70 e l’80 ritorna: ad esempio, il “sentimento” tra gli elettori del PD verso il PD è di 69 punti, quello dei Fratelli d’Italia per gli elettori di Giorgia Meloni è oltre l’80, e così via. Una forbice di “sentimento” che rimane sostanzialmente immutata quando si valuta non un partito ma i suoi elettori, segno che questa dinamica coinvolge anche la valutazione dei propri concittadini quando hanno idee simili (o diverse) rispetto alle proprie.
Il livello di pericolosità percepito dei partiti
Il sondaggio di cui sopra contiene poi tre ulteriori e interessanti informazioni in relazione al livello di polarizzazione affettiva in Italia. La prima è relativa alla percezione di “pericolosità” per il nostro sistema democratico degli “avversari politici”. In una normale democrazia liberale, ci si aspetterebbe infatti che gli avversari siano oggetti di critica, anche aspra, ma non percepiti come un pericolo per la democrazia tout court. Tale percezione determina infatti una sostanziale “rottura” del patto civico su cui una salutare competizione politica si fonda. Ebbene, se ci concentriamo sui due principali poli (centro-sinistra e centro-destra) i dati a riguardo sono sconfortanti. Lungo una scala che va da 0 (nessun pericolo) a 10 (massimo pericolo), gli elettori di partiti di centro-sinistra conferiscono quasi un 6 ai partiti di centro-destra in termini di pericolosità. Al loro confronto gli elettori di centro-destra mostrano un atteggiamento per lo meno un po’ più accondiscendente, con valori di pericolosità sempre sotto a 5 per i partiti di centro-sinistra.
La pervasività del voto negativo (a sinistra)
La seconda è relativa al voto negativo. “Votare contro” invece che “votare per” è infatti un altro degli indicatori che accompagnano l’ascesa della polarizzazione affettiva. In questo senso, nelle ultime elezioni, per circa 1 italiano su 5 i fattori del votare “contro” qualcuno hanno pesato maggiormente rispetto a quelli di votare “per” qualcuno. Purtroppo a riguardo non si hanno serie temporali che ci permettono di capire l’evoluzione nel tempo di tale fenomeno (ovvero se è cresciuto o meno rispetto alle elezioni precedenti). Rimane comunque un dato lungi dall’essere banale. In una prospettiva comparata, il dato risulta inferiore a quello registrato nel caso americano per le elezioni presidenziali del 2022, con l’unica e ragguardevole eccezione di chi ha votato a sinistra in Italia. In questo caso, il voto negativo coinvolge 1 scelta elettorale su 3 (si veda la Figura 2), quasi il doppio di quello che accade tra gli elettori del M5S, il doppio rispetto a chi ha votato il Terzo Polo, per non parlare di chi ha scelto di votare a destra. E siccome, come abbiamo appena notato più sopra, il voto negativo appare correlato con la polarizzazione affettiva, a soffrire di quest’ultima, almeno in Italia secondo i dati illustrati, appare essere soprattutto la sinistra.
L’esperimento
Una maggiore “sensibilità”, quest’ultima, che emerge anche dalla terza informazione contenuta nel sondaggio che abbiamo citato, e relativa ad un particolare “esperimento” in esso presente. A ciascun rispondente di tale sondaggio è stata infatti sottoposta una vignetta in cui si chiedeva di provare ad immaginare di ritrovarsi coinvolto in alcuni scenari ipotetici. Tra questi essere invitato a cena da una persona
/ ritrovarsi a parlare di politica con una persona / sapere che il proprio figlio/figlia vuole sposarsi con una persona con idee politiche simili (o diverse) rispetto alle proprie. Dopo aver illustrato questa vignetta durante il sondaggio, si chiedeva al rispondente in che misura la situazione descritta nei vari scenari lo mettesse a disagio su una scala da 0 (“nessun disagio”) a 10 (“estremo disagio”). Più in dettaglio, questo esperimento è un esempio di quello che in letteratura è chiamato “conjoint experiment”. L’analisi dei risultati mostra che se per gli elettori del Terzo Polo e per quelli di centro-destra, l’interazione con chi ha idee diverse non provoca mai alcun disagio significativo (rispetto alla situazione in cui si interagisce con chi ha le proprie medesime idee) nelle varie situazioni indicate, lo stesso non si può dire per chi vota M5S (e si colloca ideologicamente generalmente a sinistra) e soprattutto per chi vota a sinistra: in questo caso fare una cena o discutere con chi ha idee diverse genera un sensibile disagio. In altre parole, chi si posiziona a sinistra in Italia sembra ricercare con maggiore probabilità, rispetto a chi si posiziona a destra, situazioni che lo possano proteggere dall’essere esposto a punti di vista diversi dai propri. In questo senso si ricerca con maggiore determinazione di vivere in “bolle” ideologicamente confortevoli. Una “repulsione” per le diversità (ideologiche) che in Italia, esattamente come negli Stati Uniti, finisce per coinvolgere perfino l’atto del matrimonio dei propri figli. Insomma, avere un genero di destra è in media considerato una bella iattura per chi si posiziona a sinistra nel Bel Paese, in una sorta di “remake” di quell’indimenticabile film intitolato “Indovina chi viene a cena”. Con colori diversi, ma sempre con altrettanta preoccupazione.
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Autore: Luigi Curini, professore di scienza politica presso l’Università degli Studi di Milano, e visiting professor presso Waseda University di Tokyo. E’ anche chair dello standing group “Metodi della ricerca per la scienza politica” della Società Italiana di Scienza Politica (SISP). E’ co-editor del SAGE Handbook of Research Methods in Political Science & International Relations (2020).
Per approfondire.
Gli stereotipi di genere nel parlamento italiano, da De Gasperi ai giorni nostri #DataAnalysis
Votare per o votare contro. Il pericolo del partyism in politica (in Italia e negli Stati Uniti)
Come si misura la solitudine e la felicità