La scorsa settimana è andata in scena la due giorni del draft NBA che quest’anno ha spezzato in due serate le 60 scelte divise in primo e secondo giro, culminate con la vera notizia attesa da tutti.
Con la chiamata numero 55, i Los Angeles Lakers hanno selezionato Bronny James, figlio della leggenda vivente LeBron James, creando così la prima coppia padre-figlio della storia della pallacanestro americana potenzialmente in linea per calcare il parquet contemporaneamente.
Dell’impatto mediatico ne hanno già parlato un po’ tutti ed è chiaro che se il cognome fosse stato diverso, anche complice l’arresto cardiaco subito da LeBron Jr la scorsa estate, probabilmente i Lakers avrebbero usato la loro pick del secondo giro per un altro atleta, con buona pace di tutti.
Ma se si parla dei Lakers, di LeBron e siamo ad Hollywood è ovvio che un po’ di “cinema” fosse da mettere in conto, così come – già anticipato – è normale che tutto quello che ruota attorno al draft possa essere spesso circondato da un’aura di incertezza.
Nella puntata precedente abbiamo deciso di ripercorrere tutti i draft da quando James è arrivato nell’NBA (2003) ricorrendo ai numeri forniti da Basketball Reference con i quali abbia provato a riordinare l’elenco dei giocatori scelti in ogni draft in base alle medie carriera fatte registrare, per vedere quali sono state le scelte più confermate, quelle più sorprendenti, ma soprattutto le cosiddette cantonate.
Nel grafico che segue, selezionando anno e metrica su cui fare il focus, è possibile vedere come cambia l’ordinamento dei giocatori rispetto a quello con cui sono stati selezionati (sulla sinistra), colorando la linea che collega il “cosa avevamo intravisto” al “cosa abbiamo ottenuto” in base alla differenza di posizioni che vira dal blu nei casi di giocatori che hanno over performato rispetto alle attese, fino al rosso dei cosiddetti “bust”, ossia i bidoni.
2007 – Oden e Durant, due stelle e due destini (uno beffardo)
Annata incredibile se ci si concentra sul talento delle prime due scelte che vedevano sostanzialmente una win-win situation per chi li avrebbe potuti scegliere.
Portland però, che aveva la chiamata #1, non poteva sapere che la maledizione di Sam Bowie si sarebbe ripresentata e decise di andare con la scelta più ovvia, investendo sulla stazza di Greg Oden – una sorta di gigante tra i bambini, lasciando che Kevin Durant venisse scelto dai Sonics, destinati a diventare Thunder l’anno seguente.
Gli dei del basket, forse non del tutto disposti a concedere tutto quel talento in un solo draft decisero che il primo avrebbe avuto una carriera brevissima costellata e poi troncata dagli infortuni venendo considerato una specie di “bust con asterisco”, mentre il secondo è diventato uno dei – se non il – realizzatori più letali della storia del gioco.
2008 – Rose, MVP più giovane di sempre
Anche in questo caso, i colori di questo draft si tingono di un tono di velata tristezza perché, benchè la primissima scelta fu assolutamente azzeccata, la sfortuna ad un certo punto ha deciso che non ci potevamo meritare un Derrick Rose così straripante ed esplosivo.
Se le prime stagioni sono state un trionfo che lo hanno portato verso la rampa di lancio per la grandezza, un maledetto infortunio durante una gara di playoff ampiamente decisa ci ha privato della vera versione di quello che a tratti è stato un fulmine con addosso una canotta da basket, mai più ripresosi dopo quella battuta di arresto.
2009 – Sei scelte prima del più grande tiratore di tutti i tempi
Ebbene sì, sei sono stati i giocatori selezionati prima che venisse chiamato Stephen Curry, lasciando peraltro i New York Knicks con il cerino in mano e l’ottava chiamata trasformatasi poi in una mezza meteora.
Va però detto che Blake Griffin e specialmente James Harden (rispettivamente prima e terza chiamata) sono stati decisamente nomi azzeccatissimi, in particolar modo se li si va poi a confrontare con Hasheem Thabeet, misteriosamente selezionato alla numero 2 e sparito nel dimenticatoio così come Jonny Flynn che verrà ricordato come “quello chiamato prima di Curry”.
2010 – Paul George e poco altro
Draft tutto sommato anonimo in cui la vera perla è stata trovata dagli Indiana Pacers particolarmente scaltri nell’adocchiare il talento proveniente da Fresno mentre tre delle prime sei chiamate – indipendentemente da quale sia la metrica con cui li si vuole valutare – sono state più o meno candidamente delle delusioni.
Parentesi per John Wall che pur venendo eletto All Star per diverse stagioni ed avere avuto sicuramente una carriera apprezzabile è stato a sua volta fermato da diversi infortuni.
2011 – Isaiah Thomas storia da film
Pur potendo vantare almeno quattro nomi che flirteranno sicuramente con la Hall of Fame (Kawhi Leonard, Kyrie Irving, Jimmy Butler e Klay Thompson) la vicenda di Thomas ha dell’incredibile, entrando nella lega dalla porta più piccola (forse anche per via della statura), vale a dire la chiamata numero 60, ma ruscendo a scalare tanti gradini fino addirittura ad arrivare quinto nella votazione per il titolo di MVP nella stagione 2016/17.
Ad ogni modo compimenti a chi ci ha visto lungo pescando Leonard alla 15 e soprattutto Butler alla 30; meno bravi invece quelli che hanno speso la numero 6 per Vesley o la 10 per l’idolo delle folle Fredette.
2012 – Davis, Lillard e Draymond
Anthony Davis era talmente annunciato come prima chiamata che pur disputando una finale NCAA sotto i suoi standard nessuno si sarebbe sognato di negargli l’onore di essere il primo selezionato, tenendo fede a tutte le aspettative, mentre Dame è dovuto partire solo dal sesto gradino (intervallato da un paio di bust) per confermarsi comunque come una delle guardie più divertenti e complete da vedere nell’ultima decade.
Storia invece completamente diversa per Draymond Green che dal secondo giro (scelta numero 35) è diventato nel giro di poche stagioni il motore pulsante dei futuri campioni NBA di Golden State, andando a formare uno dei terzetti più iconici di sempre assieme ai due Splash Brothers sempre provenienti dal draft.
2013 – Giannis direttamente dal futuro, nell’anno del Bust assoluto
Quando con la prima scelta ti giochi la peggior carta della storia, il fatto che con la quindicesima venga selezionato uno dei cosiddetti migliori “steal” di sempre rischia quasi di passare in secondo piano.
Questo però in sostanza quanto è successo, partendo dalla scellerata scelta di Anthony Bennett – prototipo del tweener (a metà tra i ruoli, between) moderno dal lato sbagliato – già etichettato dopo pochissime partite, arrivando poi a quell’oggetto dalle forme misteriose e dal nome ancora meno familiare di Antetokounmpo che ad oggi vanta due titoli di MVP ed un anello NBA, giusto per soprassedere sulle cifre mostruose.
2014 – Battaglia di MVP recenti
Cosa può succedere quando i due nomi più discussi prendono (in parte) il sopravvento sugli altri?
Beh, può succedere che uno dei due finisca per diventare una simil star da squadra di seconda fascia oppure terzo/quarto violino di lusso in una squadra da titolo come successo ad Andrew Wiggins, mentre all’altro – complici diversi infortuni (non la prima volta che lo si legge, vero?) – può capitare una destino che conduce in fretta al dimenticatoio.
Nel mentre però, con una chiamata numero 3 figlia dei timori per le condizioni fisiche precarie o con una numero 41 usata per un ragazzone serbo che neanche si è degnato di restare sveglio nella notte del draft, sono stati scelti i due giocatori che hanno vinto gli ulti i 4 MVP della stagione regolare, rispettivamente Joel Embiid (una volta) e Nikola Jokic (tre trofei).
2015 – Kentucky Boys
Con ben quattro giocatori scelti, l’università di Kentucky ha stabilito un record, mettendo sul piedistallo quelli che sono poi risultati essere i due cavalli di razza, vale a dire Devin Booker (chiamata 13) e Karl Anthony Towns (prima assoluta), nel contesto di un’annata tutto sommato neutra che non ha visto bidoni davvero clamorosi così come nessun altro nome da far saltare in piedi sulla sedia, fatta eccezione per l’unicorno lettone Porzingis, adesso fresco campione NBA.
Per approfondire.
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