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La storia del draft Nba spiegata con i numeri (e un grafico)

Dopo la prima  e la seconda puntata dedicate agli approfondimenti sui draft NBA a partire da quello che ha visto arrivare LeBron James, nell’estate in cui è stato selezionato il figlio della stella dei Lakers, concludiamo il nostro data viaggio in cui scoprire come dovrebbe essere l’ordine di chiamata di ciascun draft se ci si dovesse basare meramente sui numeri.

Nel grafico che segue, selezionando anno e metrica su cui fare il focus, è possibile vedere come cambia l’ordinamento dei giocatori rispetto a quello con cui sono stati selezionati (sulla sinistra), colorando la linea che collega il “cosa avevamo intravisto” al “cosa abbiamo ottenuto” in base alla differenza di posizioni che vira dal blu nei casi di giocatori che hanno over performato rispetto alle attese, fino al rosso dei cosiddetti “bust”, ossia i bidoni.

 

2016 – Il bug Simmons
Chi segue la NBA sa che ormai Ben Simmons è diventato una sorta di meme per via delle vicissitudini che lo hanno portato dall’essere uno dei possibili nomi del futuro della Lega ad una sorta di reietto malvisto a reti unificate
Nonostante tutto, ma soprattutto complice il fatto che ha giocato davvero pochissime partire nelle ultime stagioni, da un punto di vista prettamente statistico, la sua chiamata numero 1 assoluta non è così disconosciuta dai numeri che – fatta eccezione per i punti a partita – non lo vedono mai oltre la sesta posizione, in un draft che comunque ha prodotto talenti come Sabonis, Siakam, Ingram e Jaylen Brown, fresco MVP delle Finals 2024.

2017 – Tatum e il genio Ainge
A volte capita che ci sia qualcuno così illuminato che, pur avendo la prima pick del draft, sa già che le squadre che sceglieranno dopo hanno già adocchiato i giocatori che vorrebbero prendere, così c’è tutto quello che serve per la classica mossa geniale.
Danny Ainge, allora GM dei Celtics cede a Philadelphia la numero 1 in cambio della 3 (più altre scelte) e vede i Sixers selezionare Fultz che al momento non è più che un buon rotation-player ed i Lakers dirigersi verso l’anticipatissimo prodotto locale e fenomeno media Lonzo Ball – adesso ai box da due anni alle prese con qualche rogna al ginocchio.
Boston riesce così a portarsi a casa la vera stella del draft, Jayson Tatum, all’interno di una lottery che ha visto davvero diversi bisoni importanti come Josh Jackson scelto dai Suns alla 4 o Frank Ntilkina alla 8 dai Knicks che si mangeranno le mani per anni con la consapevolezza di aver potuto scegliere Donovan Mitchell (13).

2018 – Luka Magic scivola alla 3
Partendo dal presupposto che il 2018 ha tutte le carte in regola per essere uno dei migliori draft degli ultimi venti anni, c’è un fatto che non può passare inosservato e che ha dei tratti di somiglianza con un altro draft storico (quello del 1984) davvero incredibili.
Così come ormai 40 anni fa con la prima scelta venne selezionato un centro che sembrava impossibile non venisse scelto (Olajuwon), anche in questa occasione la prima scelta è stata spesa per prendere un prodotto analogo, ossia Ayton. Alla seconda chiamata poi, come nel passato, al posto che selezionare quello che si sarebbe rivelato il miglior giocatore della classe (all’epoca Jordan) vale a dire Doncic, la squadra con la pick numero 2 ha deciso di optare per un “lungo duttile” finendo con l’essere ricordati come “quelli che potevan prendere Doncic ed invece” hanno preso un bidone (Bagley III, ai tempi Bowie distrutto più che altro dagli infortuni incessanti).

2019 – Zion e Ja
Due All Star, recentemente fermati a tratti per infortuni o “incidenti” extra sportivi che si distaccano da tutto il resto dei colleghi in termini di impatto sul gioco e – non meno importante – in fatto di spettacolarità.
Capiamoci: c’è anche qualche altro nome interessante (su tutti Herro di Miami) ma se prendiamo ad esempio il VORP (Value Over Replacement Player) che indica statisticamente il valore aggiunto che un determinato atleta fornisce in più rispetto al giocatore medio, ne esce uno scenario in cui dalla terza alla decima chiamata, l’inversione di tendenza con l’ordine del draft è davvero colossale in almeno cinque casi.
Come dire: bene in alto, nebbia fitta a seguire.

2020 – Un anno semi-pandemico
Nonostante alcuni nomi di spicco come Edwards, Haliburton e Maxey reduci quest’anno di una grande stagione con discreto seguito anche nei playoff, quella del 2020 è stata una delle top 10 più costellata di abbagli a partire dalla chiamata numero assoluta che toccò ai Golden State Warriors con la quale decisero di puntare su James Wiseman, intrigante lungo eclettico che è rimasto però un oggetto assolutamente misterioso.

2021 – Cunningham e l’equilibrio
Capitano dei draft in cui non ci sia la stella annunciata e questo è stato uno di questi.
Normalmente in tali circostanze la probabilità di sbandate tendenzialmente è mitigata e direttamente proporzionale alla consapevolezza di non avere grosse possibilità di fare il colpaccio.
I Pistons sono riusciti a vincere la chiamata numero uno in una stagione poco ambita e, pur portandosi a casa un signor prospetto come Cunningham, di certo avrebbero preferito prendersi un rischio maggiore con la prospettiva di un upside più intrigante.

2022 – Paolo Banchero e la presunta Italia
Se siete appassionati, avrete ben presente la diatriba tra Banchero e i tifosi dell’Italia visto che in molti – tra le fila italiane – avevano creduto al flirt su cui lo stesso Paolo si era sbilanciato più volte.
Scelto – se vogliamo – un po’ a sorpresa nonostante la buonissima stagione a Duke, con le prestazioni della sua annata da rookie che gli sono valse il titolo di matricola dell’anno e la convocazione con la maglia della nazionale… americana, Banchero figura di diritto come una grande conferma per gli Orlando Magic e che – Chet Holmgren a parte – al momento non teme confronti fra i colleghi del 2022.

2023 – Comincia l’era Wemby
Chiaramente, minore è il numero di stagioni disputate, maggiore è la probabilità che il campione sia statisticamente meno significativo nell’ottica di rivedere l’ordine di scelta e quindi il draft dell’ultima stagione è quella più esposto alla “bontà” della nostra contro-analisi.
Ma quello dello scorso anno è stato il draft di Victor Wembanyama di cui vi abbiamo già parlato qualche mese fa (link ad articolo precedente https://www.infodata.ilsole24ore.com/2024/04/23/nba-tutto-quello-che-ce-da-sapere-sui-playoff-di-questanno-parte-1/) e con questa premessa ci resta ben poco da dire.
Parlano di lui come di un alieno e sul campo non ci siamo andati così lontani, tanto che ha seriamente rischiato di passare alla storia (oltre ai numerosi record infranti) per essere il primo rookie a vincere anche il primo di difensore dell’anno, fermandosi però al secondo posto.
Con la seconda, terza, quarta scelta si sarebbero potuti chiamare anche Qui, Quo e Qua ma la gente continuerebbe comunque e giustamente a ricordare il 2023 come l’anno di Wemby, con buona pace dei presunti e/o futuri colleghi bidoni, se sarà quello il loro destino.

Per approfondire.

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