Secondo un’instant poll realizzato dall’istituto SSRS per la Cnn, la vicepresidente Kamala Harris ha vinto il dibattito contro l’ex presidente Donald Trump (lo ha affermato il 63% di un campione che, prima dell’incontro, era diviso a metà tra i due candidati). Ma, come ha fatto notare il New York Times nell’edizione europea della sua newsletter mattutina, è mancato il colpo del KO. Quali saranno, se ci saranno, gli effetti di questo probabilmente unico dibattito tra i due candidati alla Casa Bianca, lo si capirà solo tra qualche giorno. Quando cioè i vari modelli di previsione avranno “digerito” i dati dei sondaggi realizzati a valle di questo scontro dialettico.
Scontro al quale i due contendenti sono arrivati in una situazione di perfetta parità, almeno per quanto riguarda il voto popolare. Per come è strutturato il sistema dei grandi elettori, però, è possibile ottenere meno voti dell’avversario e vincere ugualmente le elezioni, come successo proprio a Trump nel 2016 ai danni di Hillary Clinton. Secondo dati del Pew Research Center, pubblicati proprio alla vigilia del voto, i due candidati sono appaiati al 49%. Un piccolo vantaggio per i repubblicani è che i cosiddetti Strong Trump, ovvero quegli elettori sicuri di votare per il candidato del Gop, sono il 31%. Mentre quelli certi di votare Harris sono il 29%.
Allo stesso modo, i Lean Trump, ovvero quegli elettori che preferiscono il candidato repubblicano ma potrebbero ancora cambiare idea sono il 18%, contro il 20% dei Lean Harris. Insomma, l’ex presidente ha un margine maggiore, per quanto si tratti di due punti percentuali, di erosione dei consensi della sua avversaria.
Con il diritto all’aborto al centro del dibattito e con una sfida che oppone una donna ad un uomo, è interessante anche valutare le intenzioni di voto in base al genere: Trump vince tra gli uomini con il 52% dei consensi contro il 46% di Harris, che vince tra le donne a percentuali invertite. La vicepresidente in carica, vittima di un goffo tentativo dell’avversario di contestarne l’identità afroamericana, stravince nella comunità nera (84 a 13) e più in generale va meglio tra le minoranze. Il candidato repubblicano vince invece tra i bianchi (56 a 42) e questa non è una buona notizia per i democratici, che per vincere hanno bisogno di conquistare il voto di uno stato a maggioranza bianca come la Pennsylvania.
Kamala Harris vince tra i più giovani, è in vantaggio 63 a 34 nella fascia tra i 18 e i 29 anni, Donal Trump invece tra i più anziani: è intenzionato a votare per lui il 54% di chi ha tra i 50 ed i 64 anni, contro il 45% che sostiene la sua avversaria. Mentre la candidata democratica vince tra chi ha un titolo di studio più alto. Rispetto a quest’ultimo tema, si è scelto di non tradurre nel grafico le categorie utilizzate dal Pew Research Center. Tra i postgrad, ovvero chi ha almeno l’equivalente di una laurea magistrale italiana, Harris è avanti 63 a 35, così come tra i college grad (53 a 45), ovvero tra chi ha quella che in Italia chiameremmo laurea triennale. Some college è la categoria che indica i diplomati che hanno abbandonato l’università e che vede Trump in vantaggio 51 a 47. Tra gli HS or less, ovvero chi ha al massimo un diploma di scuola superiore, il candidato repubblicano è avanti 55 a 42.
Questo, dunque, il quadro prima del dibattito, il cui impatto sui consensi è ancora tutto da valutare. Senza contare che al voto del 5 novembre mancano poco meno di due mesi, un periodo in cui può succedere di tutto, e che si tratta di un contesto in cui anche dei fattori esterni, come l’endorsement a Kamala Harris di Taylor Swift dopo che una sua versione generata dall’AI invitava a votare Donald Trump, possono avere un impatto sull’esito finale. Chi sarà il prossimo presidente americano, insomma, è ancora tutto da decidere.