Indica un intervallo di date:
  • Dal Al
finanza

I conflitti nella storia dell’uomo? Più di un millennio di dati può non essere sufficiente

Giugno 1914. L’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria portò a una catena di alleanze militari che culminò nello scoppio della Prima guerra mondiale.
Agosto 1939. La Germania nazista firmò il patto di non aggressione con l’Unione Sovietica, preparando l’invasione della Polonia e scatenando la Seconda guerra mondiale.
Ottobre 1962. Le tensioni tra Russia e Stati Uniti rischiano di trasformarsi in un conflitto nucleare, quando la prima decise di dispiegare testate nucleari sulle coste cubane.
La guerra fredda aveva raggiunto il suo momento più caldo.

La storia dell’uomo è stata tempestata di scontri, siano essi inter-stati che intra-stati, e il rischio di un conflitto su larga scala, che coinvolgesse un grande numero di vittime, ha da sempre riempito i notiziari quando i rapporti tra parti sembrano farsi più tesi. Se si volesse rappresentare in termini grezzi le vite perse in guerra dai soldati dal 1800 al 2011, i risultati sono tutt’altro che una sorpresa: i due conflitti mondiali hanno registrato il maggior numero di perdite.

Semplificando: se il numero di vittime dei conflitti osservati segue questo tipo di distribuzione, allora, scontri con un grande numero di vittime sono più probabili di quello che ci aspetteremmo e non c’è alcuna certezza che un piccolo scontro non possa tramutarsi in un atroce conflitto. Gli eventi estremi sono comunque rari, ma meno rari di quanto previsto da una distribuzione Normale.

I fenomeni che seguono distribuzioni con code pesanti sono più difficili da analizzare e richiedono una grande quantità di dati.
Immaginate di studiare il numero delle vittime dal primo anno dopo Cristo al 1900. Dopo la Guerra dei Tre Regni in Cina e i suoi circa 40 milioni di morti nel 200 dopo Cristo, potreste essere convinti che ormai il numero di vittime degli scontri tra uomini si attesti sotto i 5 milioni; in fondo, avete a disposizione 1700 anni di dati che possono confermare la vostra teoria. Poi, arriva il 1915 e si sale a 10 milioni con il primo conflitto mondiale. Poi, arriva il 1939 e i 68 milioni di decessi della seconda guerra mondiale – considerando civili e soldati.
Nessuna informazione del passato vi avrebbe preparato a tali osservazioni, per questo è importante sottolineare che per determinati fenomeni il rischio di osservare un evento incredibilmente lontano da quello che si è già visto è molto più alto.

Pasquale Cirillo e Nassim Nicholas Taleb nell’articolo “On the statistical properties and tail risk of violent conflictstrattano l’argomento da un punto di vista più teorico e formale; gli autori confermano che la distribuzione delle vittime dei conflitti presenta una coda destra molto pesante, tanto da far pensare che la media delle vittime sia infinita, ma visto che “nessun evento può uccidere più della popolazione mondiale”, allora la media è limitata superiormente dal numero di abitanti della terra.
In un modello con code pesanti, la media teorica può divergere, indicando che la previsione dell’entità degli eventi estremi è molto incerta. Comunque non un buon segno.

In un bellissimo libro – Only the dead – di Bear F. Braumoeller, i conflitti internazionali vengono magistralmente analizzati da un punto di vista quantitativo e i risultati sono una risposta alla teoria di Steven Pinker, che vede la violenza essere diminuita rispetto agli anni passati. Teoria non confermata dai dati, che invece sembrano propendere per una violenza simile a quella passata.

Il Professor Braumoeller sostiene, infatti, che siamo violenti quanto prima e che le capacità di uno scontro di ingrandirsi siano notevoli: secondo l’autore e assumendo determinate ipotesi, c’è una possibilità su 350 che le vittime del prossimo conflitto superino l’1% della popolazione mondiale.
Assumendo cinquanta scontri al secolo, “allora la probabilità di osservare un conflitto più letale della Seconda Guerra Mondiale nei prossimi 100 anni sarebbe del 13%” e “la probabilità di assistere a una guerra che uccida più del 5% della popolazione mondiale salirebbe a poco più del 5%”.

Le stime precedenti sono figlie del periodo analizzato e delle dinamiche sociali avvenute fino a quel momento, quindi sono più che suscettibili a variazioni.
Il libro sopracitato è stato pubblicato nel 2019, quindi i dati non includono la nuova invasione russa dell’Ucraina, il riaccendersi del conflitto in Medio Oriente, la guerra civile in Sudan e tanti altri conflitti che imperversano attualmente nel mondo e c’è da pensare che, aggiornando le osservazioni, la situazione non diventi più rosea, ma il contrario.

Lo studio di particolari fenomeni richiede estrema attenzione e una semplice analisi dei dati passati, senza l’utilizzo di strumenti adeguati, come quelli forniti dalla Teoria dei Valori Estremi, potrebbe indurre in errore l’analista.
In fondo, riciclando una citazione di Taleb, anche il tacchino si sente tranquillo nel vedersi rimpinzato quotidianamente. Ogni giorno trascorso a mangiare aumenterà il suo livello di sicurezza nei confronti dell’uomo. Poi, arriva il Giorno del Ringraziamento.

Per approfondire.

Non c’è solo la guerra Russia-Ucraina. Gli altri conflitti del 2022 raccontati con i grafici

Tutti i conflitti del mondo in una infografica

Il conflitto a Gaza, il 7 ottobre e i nuovi fronti della guerra