Dal 30 al 50% dei pazienti ospedalizzati in Europa è malnutrito, che significa spesso, ma non sempre, denutriti. Nella regione europea dell’OMS, circa il 40% dei pazienti ricoverati perde peso involontariamente e la metà non mangia bene ed è a rischio di malnutrizione. Nonostante le evidenze e le linee guida, quasi la metà dei pazienti ricoverati in Europa non riceve assistenza nutrizionale e solo un terzo di chi non è in grado di mangiare da solo a causa della sua condizione riceve integratori alimentari orali o nutrizione artificiale.
Questi dati non ci svonvolgono più di tanto; siamo abituati da sempre a vedere le persone malate perdere peso, anche perché spesso fra gli effetti collaterali di una terapia ci sono sintomi quali nausea o inappetenza. “Quando starai meglio ti riprenderai”, siamo abituati a dire. È così, ma la letteratura scientifica è ormai concorde sul fatto che le cure nutrizionali possono prevenire o trattare efficacemente la malnutrizione e migliorare i risultati delle terapie.
C’è un grosso problema di sottodiagnosi, di non presa d’atto della malnutrizione, come fosse una questione secondaria rispetto alla malattia che ha colpito la persona ospedalizzata, che significa mancanza di cure nutrizionali. Invece la malnutrizione correlata alle malattie può danneggiare la nostra salute in molti modi: indebolisce la capacità del corpo di combattere le infezioni e riprendersi dalla malattia e può avere un impatto grave sulla salute mentale. Ciò significa complicazioni, degenze ospedaliere più lunghe e tassi di mortalità ancora più elevati tra i pazienti.
Sono fatti gravi, denunciati da una rilevazione dell’OMS condotta fra gli stati membri e presentata al congresso della European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN) nel settembre 2024. La malnutrizione è stata definita, classificata e diagnosticata in base all’indice di massa corporea (BMI), con un valore limite di =< 18 kg/m2.
Dal 1974, anno in cui fu pubblicato Iatrogenic Malnutrition. The Skeleton in the Hospital Closet che per la prima volta denunciava la frequenza e la gravità della malnutrizione in ospedale, numerosi altri studi, ad oggi, hanno sottolineato l’entità del fenomeno, concordando sulla necessità di adoperarsi affinché tutte le persone possano alimentarsi in modo soddisfacente e sicuro nelle strutture sanitarie e/o socio-assistenziali che li ospitano.
Ad aprile 2024 uno studio (ma è l’ultimo di una lunga serie) pubblicato sul Clinical Nutrition Open Science e condotto su persone ospedalizzate in quattro ospedali universitari norvegesi ha concluso che il 42% di loro non era stato sottoposto a screening adeguato per il rischio di malnutrizione al momento del ricovero ospedaliero. Tra il 29% dei pazienti malnutriti, solo il 36% aveva un supporto nutrizionale documentato nella cartella clinica e una diagnosi di malnutrizione è stata registrata solo per il 30%. La malnutrizione è stata associata ad aumento della comorbilità e a riduzione della sopravvivenza a 30 giorni.
Per l’Italia ci viene in aiuto una ricerca pubblicata nel 2023 su Nutrition condotta Dalla Società Italiana di Nutrizione Artificiale e Metabolismo (SINPE) che conclude che il rischio di malnutrizione in Italia è stimato al 49% nei pazienti ricoverati in ospedale e al 69% in quelli in lungodegenza, nel 25% nei bambini ospedalizzati e nel 30% di chi ha malattie croniche. Gli studi che includono solo la malnutrizione diagnosticata mostrano una prevalenza ancora più elevata.
Perché se sei malnutrito fai più fatica a guarire?
Perchè? Ecco che cosa dice la scienza sulla malnutrizione nelle persone ospedalizzate:
• è correlata alla malattia nel senso che è causata da processi infiammatori e/o alla riduzione dell’assunzione o dell’assorbimento di nutrienti. Questi meccanismi si scatenano durante qualsiasi patologia.
• induce disturbi nutrizionali e metabolici che possono compromettere la funzione di tutti gli organi e tessuti del corpo, tra cui disabilità e fragilità dovute alla perdita di massa e forza muscolare scheletrica, funzione immunitaria compromessa, metabolismo energetico alterato e funzionamento di base degli organi e disturbi psicologici e psichici.
• Ha un forte impatto clinico a causa di complicazioni per i pazienti, esiti peggiori,
tassi di mortalità più elevati, ricoveri ospedalieri e convalescenza più lunghi e scarsa qualità della vita.
L’OMS raccomanda l’assistenza nutrizionale ospedaliera per tutti, in quattro passi. Primo step, l’identificazione precoce del rischio di malnutrizione, attraverso strumenti standardizzati che possono essere utilizzati da qualsiasi professionista sanitario. Secondo step, una valutazione dettagliata determina la causa e la gravità della malnutrizione. Terzo step, trattamento personalizzato, che può includere aggiustamenti dietetici, integratori orali o persino alimentazione tramite sondino, a seconda delle esigenze del paziente. Ultimo step, importante: il monitoraggio monitoraggio regolare per eventuali aggiustamenti.
Purè, minestra, prosciutto e stracchino
Finora, i programmi per ridurre tutte le forme di malnutrizione si sono concentrati sui determinanti sociali ed economici della malnutrizione, mentre la malnutrizione correlata alle malattie e l’accesso di questi pazienti alle cure nutrizionali hanno ricevuto molta meno attenzione.
Pochi ne parlano. Nel febbraio 2020 – periodo difficile per tutti noi – l’ Associazione nazionale dei Dietisti (Andid) aveva redatto un documento che spiegava che sebbene nel 2003 la Resolution ResAP2003 del Council of Europe avesse evidenziato l’importanza di valutare il rischio nutrizionale indicando il vitto ordinario come la prima opzione per correggere e prevenire la malnutrizione ospedaliera, in Italia le cose non andavano così. Il oasto ospedaliero è il modo più semplice e sicuro per fornire un adeguato trattamento nutrizionale con programmi alimentari specifici che prevedano un’ampia gamma di pasti arricchiti in energia e proteine, realizzati con alimenti ad alto contenuto in grassi e proteine. “In Italia, invece, in base alle informazioni raccolte da colleghi operanti in strutture sanitarie e socio-assistenziali, stante l’ancora frequente assenza di programmi alimentari fortificati all’interno dei Prontuari Dietetici, la strategia di intervento attualmente più adottata risulta essere l’utilizzo di supporti nutrizionali orali e di “piatti pronti” iperproteici e ipercalorici, talvolta liofilizzati, disponibili in commercio come “Alimenti Dietetici destinati a fini medici speciali”. Si legge.
Ne parlavamo su Infodata lo scorso aprile: “Siamo in un momento interessantissimo in cui per la prima volta l’umanità sta riflettendo potentemente su come si alimenta, ma purtroppo ci sono ancora due luoghi dove questo scarsamente accade, ed è paradossale: le facoltà di medicina e gli ospedali” ci raccontava Silvia Goggi, medica e nutrizionista che da anni studia i presupposti scientifici della dieta vegana e propone regimi personalizzati ai propri pazienti. gli ospedali si avvalgono di mense esterne e sono queste ultime a “decidere” il genere di alimenti da proporre. Non c’è un board ospedaliero dietro le scelte alimentari, e questo perché fino a qualche anno fa non vi era alcuna riflessione sull’alimentazione all’interno dei percorsi di studio accademici”.
Per approfondire.
Perché ci si ammala in ospedale e come possiamo prevenirlo?
Come si misurano le infezioni negli ospedali? Il caso italiano
Resistenza agli antibiotici: Italia primo paese per numero di infezioni