La 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è finita con un numero: 300 miliardi l’anno. A tanto ammonta l’obbligo per i Paesi ricchi di finanziare la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici dei Paesi in via di sviluppo fino al 2035. Il documento prevede che il contributo dei Paesi più ricchi provenga dai loro fondi pubblici, integrati da investimenti privati che mobilitano o garantiscono, o da “fonti alternative”, il che significa possibili tasse globali, ancora allo studio. Tra l’altro la transizione verso l’uscita dai combustibili fossili, il principale risultato della Cop28 di Dubai, sparisce dai testi principali.
L’accordo raggiunto alla COP29 di Baku ha insomma suscitato diverse critiche, principalmente da parte dei paesi in via di sviluppo e delle nazioni vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico.
A chi non è piaciuto l’accordo?
I Paesi più poveri hanno espresso insoddisfazione per l’entità dei finanziamenti promessi, ritenendoli insufficienti rispetto alle loro necessità. I Paesi più vulnerabili (i 45 Paesi meno sviluppati (Pms) e il gruppo di circa 40 piccoli Stati insulari) hanno protestato, lamentandosi di non essere stati consultati. Alla fine il gruppo è stato convinto a non bloccare l’accordo. L‘India per esempio ha definito le somme stanziate come “irrisorie”, mentre rappresentanti africani hanno commentato che l’accordo è “troppo poco, troppo tardi”. Anche la Francia ha espresso riserve, affermando che l’accordo “non è all’altezza delle sfide” poste dal cambiamento climatico. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha ammesso di aver sperato in un accordo più ambizioso. Attivisti e organizzazioni ambientaliste hanno criticato l’influenza esercitata dall’industria dei combustibili fossili durante i negoziati, sottolineando la presenza significativa di lobbisti del settore alla conferenza. La Cina resta fuori dalla lista dei Paesi responsabili dei finanziamenti per il clima.
A chi è piaciuto?
L’Unione europea ha detto che con l’accordo siamo entrati in una “nuova era” nella finanza per i Paesi più poveri per combattere il riscaldamento globale.
Cosa succederà?
Arrivati a questo punto, con Donald Trump alle porte, e quindi con il nuovo presidente degli Stati Uniti pronto a guidare gli Stati Uniti che si è detto da sempre contrario alla transizione ecologica e pronto a togliere gli Usa dall’accordo di Parigi. Con un pezzo importante dell’Occidente concentrato ad acquistare più armi per fronteggiare le minacce rappresentate dalla crisi in medio oriente (Palestina, Libano, Israele e Iran) e quella in Ucraina iniziati mille giorni fa con l’invasione della Russia. L’attenzione alla sostenibilità e la lotta al climate change sembrano perdere centralità quantomento nell’agenda politica dei Big del mondo. Arrivati questa altezza dopo accordi sempre di compromesso e mai veramente efficaci, Baku ha rappresentat0 la liquidazione fallimentare dei Paesi più ricchi dopo anni di lotta al cambiamento climatico. In sintesi, le principali critiche all’accordo di Baku riguardano l’insufficienza dei finanziamenti promessi per affrontare efficacemente la crisi climatica e l’influenza percepita dell’industria dei combustibili fossili sui risultati della conferenza. Qiui raccontiamo ancora una volta questa ennesima Cop che non piace a nessuno con tre numeri.
300 miliardi
La somma per la transizione dei Paesi in via di sviluppo È la cifra che i Paesi sviluppati hanno concordato di stanziare annualmente, combinando finanza pubblica e privata, per sostenere i Paesi in via di sviluppo nella lotta agli effetti della crisi climatica e nella riduzione delle emissioni. Si tratta di un budget che rappresenta la metà di quanto richiesto dai Paesi in via di sviluppo, e uno sforzo molto piccolo se si tiene conto dell’inflazione, hanno criticato le Ong.
1,3 mila miliardi
L’obiettivo di contributi entro il 2035. La “Roadmap da Baku a Belem” stabilisce un obiettivo ambizioso: raccogliere questa cifra annuale attraverso contributi da fonti pubbliche e private. Questo traguardo, che deve essere raggiunto entro il 2035, mira a sostenere in modo più efficace l’azione climatica globale. L’accordo rappresenta un passo importante, ma resta incerto se i meccanismi per raggiungerlo saranno sufficientemente concreti ed equi.
196
I Paesi rappresentati alla Cop29. Sono le nazioni rappresentate alla Cop29, riunitesi per tredici intense giornate di negoziati. La conferenza, caratterizzata da dibattiti serrati e numerosi momenti di tensione, si è conclusa con un compromesso che include anche la definizione delle regole per un futuro mercato globale del carbonio controllato dall’Onu. Nonostante l’accordo raggiunto, le critiche non sono mancate: molti rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo hanno definito la decisione un «insulto» e una «illusione ottica», segno che il divario tra aspettative e risultati è ancora ampio.
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