Il podio è vuoto. Nessun primo posto assegnato (stessa cosa per il secondo e il terzo) nella classifica 2025 del Climate Change Performance Index (CCPI), curato dalle organizzazioni non governative Germanwatch, New Climate institute e Climate action network. Lo studio, arrivato alla sua ventesima edizione, consente di confrontare gli sforzi di mitigazione della crisi climatica per ben 63 Paesi su scala globale, ai quali si aggiungono, nel complesso, quelli appartenenti all’Unione Europea. Le nazioni messe sotto lente di ingrandimento producono circa il 90% delle emissioni globali dei gas responsabili dell’effetto serra, costituendo in questo modo un ottimo campione d’analisi. Ma chi si distingue nella classifica? E come si posiziona l’Italia?
Prima di passare ai risultati dello studio, spieghiamo come funziona l’indice. Le prestazioni dei Paesi sono valutate in quattro macro-categorie: emissioni di gas serra, energie rinnovabili, uso dell’energia e politica climatica. Queste si suddividono in ulteriori 14 micro-categorie che prendono in considerazione alcune specifiche, come potrebbero essere la ricerca sulle rinnovabili o il livello attuale dei Total Primary Energy Supply (i cosiddetti TPES). I dati delle politiche vengono poi valutati da parte di oltre 450 esperti di clima ed energia provenienti dalla società civile, think tank e istituzioni scientifiche. Circa l’80% della valutazione delle prestazioni di un Paese si basa su dati quantitativi provenienti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), dal PRIMAP, dall’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dagli inventari nazionali dei gas serra, presentati all’UNFCCC.
Ma veniamo ai risultati. Come detto, la classifica vede un podio deserto, stando a segnalare (in modo simbolico) che nessuno sta agendo in maniera sufficiente per allinearsi agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Al quarto posto figura poi la Danimarca: l’unico Paese ad ottenere punteggi elevati nella valutazione delle politiche climatiche, come anche spiegato nel rapporto. Seguono al quinto posto i Paesi Bassi e al sesto il Regno Unito, che ha migliorato nettamente la sua performance rispetto ai precedenti anni, anche grazie al superamento del carbone e all’impegno del nuovo governo laburista di Londra di non concedere nuove licenze per l’estrazione di combustibili fossili.
Chi si è piazzato nelle ultime posizioni? Conciliandosi alle precedenti edizioni dello studio, troviamo l’Iran, l’Arabia Saudita, la Russia e gli Emirati Arabi Uniti. Non a caso quattro tra i più grandi produttori di gas e petrolio del mondo. Del resto, sui loro territori, la quota di energia prodotta attraverso fonti rinnovabili è inferiore al 3%. Ma dove troviamo l’Italia?
Il nostro Paese è al quarantatreesimo posto, nella parte bassa della classifica. Una bocciatura già espressa nel rapporto dello scorso anno e a cui non è seguito nessun miglioramento importante sulle performance climatiche. Pesano il rallentamento nella riduzione delle emissioni climalteranti e una politica nazionale considerata inadeguata a fronteggiare la crisi climatica, a partire da un Piano Energia e Clima (PNIEC) forse poco ambizioso.
La classifica, realizzata anche in collaborazione di Legambiente per l’Italia, è stata presentata a Baku, durante la COP29. In merito a questi risultati si è espresso Stefano Ciafani, presidente dell’associazione, dicendo che la penisola: “sul fronte energetico continua ad avere una visione miope che non riduce le bollette pagate da famiglie e imprese, e che crea anche nuove dipendenze energetiche dall’estero, da Paesi sempre più instabili politicamente. Intanto la crisi climatica accelera il passo, gli eventi meteo estremi nella penisola sono sempre più frequenti e con impatti pesanti anche sul mondo produttivo e dell’agricoltura, che avrebbero tutto l’interesse a promuovere politiche coraggiose per la riduzione delle emissioni climalteranti, come previsto dal Green Deal europeo. Se l’Italia vuole davvero voltare pagina e risalire anche la classifica delle performance climatiche, deve compiere un deciso cambio di passo con politiche climatiche più ambiziose e interventi decisi, anche nel settore della mobilità e dell’edilizia”.
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