Nel complesso non si può ancora parlare di parità in termini di presenza delle ricercatrici donne fra le fila dei ricercatori, dei professori associati e ordinari, ma nell’ultimo decennio i dati sono incoraggianti. ANVUR ha pubblicato i dati che confrontano il personale universitario per genere nel 2022 e nel 2012.
La percentuale di donne tra il personale docente universitario italiano è inferiore a quella osservata in Europa con un incremento ancora tra i più bassi a livello europeo negli stessi anni. Per l’Italia nel 2021 c’era l’1,4% di donne docenti in più rispetto al 2013, contro il 4% della Spagna, il 3,5% di Svizzera e Norvegia, il 3,2% della Germania e il 2,4% del Belgio, solo per citare alcuni paesi.
Tuttavia si può dire che pur permanendo una significativa presenza maggioritaria degli uomini, in particolare tra i Professori Ordinari, qualcosa è migliorato. Una parte delle donne che dieci anni fa era ricercatrice, magari precaria, è diventata docente associata e una parte delle associate ha vinto il posto di ordinario. Nel complesso nel 2012 le donne rappresentavano il 20% dei professori ordinari, nel 2022 sono il 27%; il 35% dei docenti associati, contro il 42% di oggi, e il 45,5% dei ricercatori universitari a tempo indeterminato, oggi sono il 49%. Infine, 99 Rettori e Rettrici in carica nell’anno 2022, dodici di questi (12,1%) sono donna. Questa percentuale era al 7,5% nell’anno 2012, quando erano in carica 93 Rettori e Rettrici.
Merita però provare a fare un discorso più raffinato.
Molto è stato scritto negli ultimi anni sulle ragioni per le quali le studentesse universitarie sono tante, ma mano a mano che si sale come carriera la loro presenza si assottiglia sensibilmente. In primis troviamo il lavoro di cura, la gestione della famiglia.
Non ci soffermiamo in questa sede sulle ragioni ma ci limitiamo ai dati di risultato che ci permettono uno sguardo sul lungo periodo, cioè di vedere che ne è stato delle donne che dieci o quindici anni fa erano ricercatrici universitarie o assegniste di ricerca.
Nel 2002 (siamo andati a cercare i vecchi dati di Almalaurea) il 58% dei laureati triennali su un totale di 24 atenei esaminati, erano donne, anche se a Ingegneria le donne (pure in crescita) sono ancora poco più del 17% dei laureati. Le laureate del 2002 (persone nate fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta) avevano voti migliori (26,6 contro 25,7) e si laureavano prima: 1,9 anni di ritardo per le laureate contro 2,2 anni per i laureati.
Nel questionario Almalaurea del 2004 (è possibile navigare i dati Almalaurea per genere solo a partire dal 2004) il 56% delle ragazze laureate ai 5 anni dichiarava di non voler proseguire gli studi, contro il 58% dei ragazzi e il 59% voleva lavorare nella ricerca, contro il 65% dei maschi. Il 47% delle ragazze indicava come priorità la possibilità di carriera (contro il 61% dei ragazzi), e il 42% la possibilità di guadagno, contro il 53% dei loro colleghi maschi.
Dieci anni dopo la loro laurea, nel 2012, la situazione era questa: la metà degli assegnisti di ricerca era donna così come la metà dei dottorandi. Era donna il 43% dei ricercatori a tempo determinato, con picchi del 60% per le scienze biologiche e del 50% per scienze storiche, scienze agrarie e scienze della terra e percentuali molto basse (intorno al 20%) per ingegneria dell’informazione e fisica.
Dieci anni dopo ancora, nella generazione successiva, era donna sempre la metà degli assegnisti e dei dottorandi, e sempre il 44% dei ricercatori a tempo determinato. Però le ricercatrici a tempo indeterminato sono diventate il 50% del totale, le docenti associate il 42% del totale e le professoresse ordinarie il 27%.
Nel 2024, le giovani donne che si sono appena laureate rispondono alle stesse domande di Almalaurea ben diversamente rispetto alle loro colleghe di 20 anni più grandi: il 70% sia dei maschi che delle femmine indica la possibilità di carriera come una priorità, e addirittura sono di più le ragazze che indicano il guadagno fra le priorità per un futuro lavoro rispetto ai maschi: il 72% contro il 68%. In realtà tuttavia negli ultimi quattro anni si evidenzia un sorpasso del numero di dottorandi e di assegnisti uomini rispetto alle donne. Questa discesa nella quota di dottorande non sembra arrestarsi negli anni accademici più recenti: nel 2021/22 la quota di dottorande si è ridotta del 4% rispetto al 2011/12.
Considerando che una fetta dei docenti del 2012 sono gli stessi del 2022 (anche se i dati di flusso non sono raccontati nel rapporto di ANVUR purtroppo…) significa che la presenza femminile fra le nuove assunzioni è significativa.
Rispetto al 2012, nel 2022 c’è stato un incremento del numero delle donne tra i Professori Ordinari in tutte le aree sociati nel 2022 rispetto al 2012 c’è stato un incremento delle donne in tutte le aree geografiche, soprattutto nel Nord-Est (+8,5%), nel Centro e nel Sud (+7,5%). Infine, per i Ricercatori, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, la percentuale delle donne è in leggero calo al Nord (Est e Ovest) e al Centro, mentre è leggermente superiore al Sud (+2,4%) e nelle Isole (+1,7%).
Un altro indicatore interessante è la percentuale di donne selezionate per il ruolo di commissario nella procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), in quanto la selezione avviene in base a criteri di produttività e qualità scientifica rigorosi che consentono, quindi, di considerare il processo selettivo un indicatore di qualità del curriculum scientifico dei candidati (Tab. 3.20). Il rapporto tra aspiranti commissari donne e uomini è di quasi 1 a 5 (circa il 22%). Tale proporzione si conferma con le nomine dei commissari. Ciò, evidentemente, riflette la composizione di genere dei Professori Ordinari.
Anche la composizione dei Nuclei di Valutazione delle Università vede una maggioranza di uomini: il 63,5% contro il 36,5%. Le donne sono presenti in numero maggiore nei Nuclei di Valutazione degli atenei del Centro e del Nord Ovest (rispetto al totale delle donne il 33% i primi ed il 23% circa i secondi).
Per approfondire.
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