Non è facile scegliere un numero che rappresenti meglio di altri un intero anno, in questo caso in ambito sanitario. Abbiamo scelto di portarci nel 2025 il risultato di uno studio pubblicato su The Lancet – una delle riviste mediche più importanti al mondo – che per la prima volta nella storia ha stimato quante sono le persone che convivono con un disturbo neurologico. Risposta: circa il 40% della popolazione mondiale, ossia 3,4 miliardi di persone.
Tra le condizioni neurologiche considerate vi sono ictus, encefalopatia neonatale, emicrania cronica, demenza, neuropatia diabetica, meningite, epilessia, disturbi neurologici da parto pretermine, disturbo dello spettro autistico e tumori del sistema nervoso centrale. La principale novità di questo studio è l’inclusione di un numero maggiore di condizioni neurologiche, che ora sono 37, rispetto alle 18 precedenti. Dal 1990 al 2021, il carico globale di queste malattie, misurato in DALY (anni di vita persi per disabilità), è aumentato del 18,2%, un aumento è legato principalmente all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della speranza di vita.
Abbiamo scelto di portarci questo numero nel 2025 perché è parte di un processo che la nostra società sta vivendo a 360 gradi negli ultimi anni: smettere di considerare il nostro prossimo come una persona esattamente come noi (vorremmo che fosse), che è un bias sociale non da poco. Le comunità stanno prendendo atto, più. meno lentamente, che siamo più diversi di quanto ci venga spontaneo pensare. Anche se noi in questo momento non soffriamo di patologie o condizioni neurologiche, il 40% di chi ci siede accanto in autobus (o che vota), sì. Prima lezione da portare a casa: generalizzare è un’operazione da farsi il meno possibile.
Un altro aspetto rilevante è che lo studio – che per inciso si basa sul più ampio database sanitario esistente, il Global Burden of Disease Study 2021 – ha individuato i 20 fattori di rischio su cui possiamo intervenire. I fattori e i comportamenti che incidono sulle condizioni neruologiche che possiamo modificare sono: ipertensione, inquinamento atmosferico e esposizione al piombo, che potrebbero prevenire una parte significativa degli anni di vita persi in salute di queste persone. Ad esempio, ridurre la pressione sanguigna e l’inquinamento potrebbe prevenire fino all’84% dei DALY per ictus. Prevenire l’esposizione al piombo potrebbe ridurre del 63% i casi di disabilità intellettiva idiopatica, mentre il controllo dei livelli di glucosio potrebbe abbattere del 14% l’impatto della demenza. Anche il fumo contribuisce significativamente al rischio di ictus, demenza e sclerosi multipla.
La seconda lezione che ci portiamo a casa è dunque che per invecchiare in salute è cruciale trattare bene il nostro corpo. Sarà banale, ma l’umanità non ha nel complesso ancora interiorizzato questo fatto. Ne abbiamo parlato a lungo su Infodata nel corso del 2024: con l’inchiesta sull’alimentazione in primis. Abbiamo raccontato, evidenze scientifiche alla mano che cosa rende gli alimenti di origine vegetale più sani, con una bella video intervista a Carlotta Perego di Cucina Botanica.
Eppure, sono poche le mense italiane che non basano il proprio menu quotidiano sulla carne, per non parlare delle abitudini alimentari degli americani che sono le medesime di 50 anni fa.
Prendersi cura di sé non significa solo mangiare bene, chiaramente. Abbiamo raccontato una ricerca pubblicata sull’American Journal of Preventive Medicine che ha mostrato che non si è mai troppo vecchi: smettere di fumare si traduce in un vantaggio in termini di potenziali anni di vita, sia che si smetta a 35 anni che a 75 anni. Inoltre, anche completare gli studi fa bene alla salute, più o meno come mangiare sano o non fumare.
Questo dato che ci portiamo nel 2025 è positivo. Se è vero che in 30 anni il carico globale di queste malattie, misurato in DALY (anni di vita persi per disabilità), è aumentato del 18,2%, tuttavia, i tassi di mortalità standardizzati per età sono diminuiti del 33,6%, mentre i tassi di DALY standardizzati per età sono calati del 27%. Ciò significa che, pur aumentando il numero assoluto di persone affette, la gravità delle malattie neurologiche è diminuita grazie ai progressi nella prevenzione e nel trattamento.