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economia

Demografia d’impresa, sempre più comuni a natalità zero. Decresce il saldo tra cessate e iscritte per il quarto anno consecutivo

 

Nel 2024 si aggiravano intorno alle 322 mila unità, mentre nel precedente anno erano poco più di 312 mila. Parliamo delle imprese attive in Italia e di come abbiano totalizzato un aumento di circa 37 mila unità in dodici mesi. Una dinamica in crescita, certo, ma che presenta diverse criticità. Si pensi, ad esempio, che per il quarto anno consecutivo (dal 2021) il saldo dato dalla sottrazione tra società cessate e nuove iscritte presso la Camera di Commercio, si attesta ancora una volta in diminuzione. Un fenomeno, questo, che emerge dagli ultimi dati di Movimprese, elaborati da Unioncamere sulla base del Registro delle imprese. Noi di InfoData abbiamo studiato le numeriche su mortalità e natalità demografica riguardante il tessuto imprenditoriale peninsulare, come già fatto in precedenti articoli.

 

Partiamo col dire che, a livello settoriale, il saldo positivo del 2024 riflette dinamiche eterogenee tra i vari comparti. Oltre l’80% della crescita annuale (29 mila imprese) si concentra in soli tre macro-settori. Si tratta delle attività professionali scientifiche e tecniche (+10,8 mila imprese, pari ad un tasso di crescita del 4,4% su base annua), costruzioni (10,6 mila imprese in più, corrispondenti ad una crescita dell’1,3%) e le attività di alloggio e ristorazione (+8 mila, pari a +1,8 punti percentuali). In modo quasi speculare, altri tre grandi comparti hanno pesato in senso negativo sul saldo, con una riduzione del proprio perimetro imprenditoriale. Queste sono le attività relative al commercio (10 mila imprese in meno, pari al -0,7% contro lo 0,6% in meno del 2023), agricoltura, silvicoltura e pesca (-7,5 mila, pari al -1,1% e in linea con l’anno precedente) e le attività manifatturiere
(-4,1 mila, -0,8% contro -0,6% del 2023).

Spostando il focus su un gradiente territoriale, i dati Movimprese mostrano segnali di crescita in tutte le quattro macro-ripartizioni geografiche del Paese, anche se ovunque con dinamiche più attenuate rispetto al 2023. In termini assoluti il contributo più significativo al saldo annuale è stato registrato nel Mezzogiorno (+13,6 mila imprese); in termini relativi, invece, la componente più dinamica è stata l’area del Centro-Italia (+0,8%) sostenuta dalla spinta decisiva del Lazio (+1,6%). Ma bisogna dire che, complessivamente, 15 regioni italiane hanno chiuso l’anno con un saldo positivo (erano però 17 nel 2023).

 

Guardando poi alle numeriche in base alle forme organizzative, alla fine del 2024 il tessuto imprenditoriale italiano appare rafforzato grazie alla significativa espansione delle imprese costituite in forma societaria, cresciute del 3,2% rispetto al 2023 (+60 mila unità). Questo progresso avviene a scapito delle altre forme organizzative, il cui numero si è complessivamente ridotto di oltre 24 mila unità (di cui 14 mila le società di persone e 10 mila le imprese individuali).

 

Ad ogni modo, ciò che nello studio di Movimpresa desta preoccupazioni, riguarda la faccenda delle culle vuote, cioè laddove sia presente un’assenza assoluta di nuove iniziative imprenditoriali. Secondo l’analisi, dai 212 comuni a zero natalità imprenditoriale del 2004 (pari al 2,6% di tutti i comuni esistenti all’epoca) si è passati ai 374 del 2014 (4,6% del totale) per arrivare ai 478 rilevati tra gennaio e dicembre dello scorso anno (il 5,9%).

 

Geograficamente, i comuni che nel corso del 2024 non hanno visto nascere attività d’impresa sono distribuiti in tutte le regioni italiane, con l’unica eccezione della Basilicata. In termini assoluti, la concentrazione più elevata si registra in Piemonte (126); a seguire vengono la Lombardia (103) e, con un distacco significativo, la Sardegna (32).

 

E si potrebbe chiudere, a riguardo, con quanto sottolineato dal Presidente di Unioncamere, Andrea Prete: “oltre all’aspetto della denatalità di impresa di alcuni territori, un andamento che crea disparità tra le nostre regioni, vanno valutate ed approfondite le cause che stanno portando a una riduzione della base imprenditoriale di alcuni settori cardine della nostra economia, come il commercio, l’agricoltura e il manifatturiero”.