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economia

I nuovi dati sul gap salariale fra uomini e donne. Spoiler; non cambia niente

Quando si dice che le donne ogni mese guadagnano in media meno degli uomini c’è sempre chi alza la mano per obiettare che “ok, ma perché è tanto diffuso il part time fra la popolazione femminile”, come se si trattasse di di un aspetto di per sé non problematico.
In realtà però è la retribuzione oraria media delle donne che è più bassa di quella degli uomini. L’ultima nota di Istat (fine gennaio 2025) ci dice che fra i dipendenti le donne guadagnano il 5,6% in meno rispetto ai colleghi uomini. La retribuzione oraria media maschile nel 2022 è stata pari a 16,8 euro, mentre quella femminile a 15,9 euro.
Attenzione: il gap tende ad ampliarsi tra i laureati tra i quali la retribuzione media oraria è di 20,3 euro lordi per le donne e di 24,3 euro lordi per gli uomini, che significa una differenza del 16%. In parole povere in un’azienda è come se un impegato laureato portasse a casa 30 mila eurolordi e una donna laureata 25.200 euro lordi, cioè se i maschi avessero a fine anno a disposizione 4.800 euro in più delle colleghe.

Si alza un’altra mano: “eh ma forse il motivo è che le donne laureate sono assunte con mansioni meno qualificate dei colleghi”. Ecco.

Studiare rende meno alle donne che agli uomini

La retribuzione media annua cresce all’aumentare del titolo di studio del lavoratore, in tutti i settori di attività economica e indistintamente per uomini e donne, ma al contempo a parità di livello di istruzione, i dipendenti uomini hanno retribuzioni medie annue sempre superiori alle donne, con un divario che aumenta al crescere del livello di istruzione: si ferma al 19,9% tra i dipendenti con al massimo la licenza media, sale al 20,5% se l’istruzione è secondaria superiore e raddoppia, raggiungendo il 39,9%, per l’istruzione terziaria.

Il rendimento del titolo di studio in termini di salario è dunque diverso per uomini e donne, soprattutto se si tratta di laureati.
Inoltre dai dati emerge che le retribuzioni annue crescono all’aumentare dell’età del lavoratore, in misura maggiore per i dipendenti uomini, che possiamo leggere come un segnale del fatto che le donne hanno avuto meno aumenti nel corso della loro carriera. Rispetto alla retribuzione dei lavoratori più giovani (tra i 14 e i 29 anni), quella degli over50 tra gli uomini è superiore del 65,5%, differenza che si ferma al 38,6% tra le donne.

Andando a leggere l’ultimo rapporto del consorzio Almalaurea apprendiamo che è dagli anni Novanta, cioè da quando i baby boomers si erano appena laureati, che le donne costituiscono oltre la metà dei laureati in Italia. Da dieci anni a questa parte sono addirittura il 60% del totale. Certo, dal momento che questi dati di Istat riguardano le aziende, quindi settori nei quali la presenza di laureate è inferiore.

La differenza fra pubblico e privato

Una differenza va fatta. Uno dei fattori che contribuisce in modo significativo al divario salariale di genere nel nostro Paese è l’effetto di composizione tra il settore pubblico (comprendente le istituzioni e le imprese a controllo pubblico) e quello privato (composto da aziende e istituzioni sotto controllo privato). Infatti, mentre il divario retributivo di genere (GPG) nel settore privato si attesta al 15,9%, nel settore pubblico scende al 5,2%. Nel settore pubblico, le donne rappresentano la maggioranza dei dipendenti (55,6%), godono di un livello di istruzione più elevato e percepiscono la retribuzione oraria più alta: per le laureate, la retribuzione oraria raggiunge i 23 euro, ben 6,9 euro in più rispetto alle laureate del settore privato. Tra gli uomini, la differenza si riduce a 4,1 euro, con una retribuzione oraria di 26,6 euro nel pubblico rispetto ai 22,5 euro nel privato.

Il gap salariale aumenta tra le professioni con una ridotta presenza femminile

Lo stesso trend si rileva anche fra i diplomati: un gap del 15,2%, sebbene su livelli retributivi orari decisamente più bassi, 11,1 euro per le donne e 13,1 euro per gli uomini.
In generale il gap salariale aumenta tra le professioni con una ridotta presenza femminile: nel gruppo dei dirigenti, raggiunge un valore del 30,8% in corrispondenza delle retribuzioni orarie più alte, sia per le donne (34,5 euro lordi) sia per gli uomini (49,8 euro).
Nel 2022 le lavoratrici dipendenti di aziende private hanno guadagnato 6mila euro in meno dei lavoratori (33.807 euro contro 39.982, e parliamo sempre di retribuzione lorda).

Le donne guadagnano meno anche fra le Forze Armate, precisamente il 27,7% in meno, con valori della retribuzione oraria pari a 16,9 euro e 23,4 euro rispettivamente. Nel gruppo degli Artigiani e operai specializzati il divario fra uomini e donne è del 17,6%: le retribuzioni orarie ammontano a 10,6 euro per le donne e 12,8 euro per gli uomini.

Le differenze più contenute si registrano per contro nelle Professioni intellettuali e scientifiche (“solo” il 8,4%) e nelle Professioni non qualificate (9,3%), fra cui rientrano però i lavoratori poveri, coloro cioè che percepiscono 10 euro l’ora (donne) e 11 euro (uomini).

Le donne lavorano meno: ecco quanto

Torniamo all’obiezione iniziale: il gap retributivo complessivo è anche dovuto al fatto che le donne lavorano meno. Nelle imprese con almeno 10 dipendenti la percentuale di lavoratrici part-time, sul totale degli occupati, è più che doppia rispetto a quella degli uomini (12,3%, contro 5,2%).
Le ore mediamente retribuite per donna nel corso del 2022 risultano pari a 1.693, salgono a 1.732 nel Nord-est, a 1.723 nel Nord-ovest e a 1.713 nel Centro e scendono a 1.595 nel Sud e a 1.581 nelle Isole. Le ore retribuite per le donne sono inferiori a quelle degli uomini del 15,1% – in media sono 1.539 a fronte delle 1.812 ore degli uomini – anche per effetto della maggiore diffusione di contratti con orario part-time. In realtà nel Nord-est e nel Nord-ovest il numero di ore mediamente retribuite è alto anche tra le donne, malgrado la marcata diffusione di contratti part-time soprattutto nel Nord-est (il 14% del totale). Una possibile chiave di lettura di questo dato è che le ore retribuite sono la somma delle ore ordinarie e delle ore di lavoro straordinario.

Un lavoratore su 10 guadagna troppo poco per vivere

Una parola, infine, sul lavoro povero, sia maschile che femminile. Il 10,7% dei dipendenti (il 9,6% fra gli uomini e il 12,2% fra le donne e il 23% complessivo degli under-30) è a bassa retribuzione oraria (low-wage earners), coloro cioè che hanno una retribuzione oraria uguale o inferiore ai due terzi del valore mediano nazionale. Nel 2022, in Italia, tale soglia corrisponde a 8,9 euro lordi l’ora.