L’antibiotico resistenza sarà un serio problema per i decenni a venire. Non a caso uno dei tre ambiti sui quali è stato testato Co-Scientist di Google è proprio la resistenza dei batteri ai farmaci attualmente a disposizione. Le mutazioni dei patogeni in conseguenza di un contatto massiccio con i farmaci avvengono molto più velocemente rispetto ai tempi di cui abbisogna la ricerca per produrre nuovi antibiotici. Ne consegue che dobbiamo trovare il modo di accelerare la ricerca – ed è la prospettiva dell’IA applicata a questo campo – ma al tempo stesso ridurre la nostra esposizione agli antibiotici. Fra le due forse la seconda è la sfida più difficile, perché la verità è che anno dopo anno il consumo di antibiotici aumenta notevolmente. Fra il 2022 e il 2023 la crescita in Italia è stata del 5,4%. Siamo dunque ancora lontani dall’obiettivo del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza (PNCAR) 2022-2025 che era quello di ridurre del 10% il consumo di antibiotici sistemici entro il 2025.
Sono i dati del Rapporto annuale “L’uso degli antibiotici in Italia – 2023”, pubblicato a marzo dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Agenzia Italiana del Farmaco (e da cui sono presi i grafici in apertura – pag. 52 e segg.). Per la prima volta, il rapporto OsMed ha analizzato anche l’impiego di antibiotici in ambito veterinario. Nel 2023, il consumo totale è stato di 1248,5 tonnellate, di cui 651,2 in ambito animale e 597,3 in ambito umano.
La metà dei bambini ha assunto antibiotici nell’ultimo anno
L’Italia si conferma tra i Paesi europei con il maggior ricorso a molecole ad ampio spettro, considerate di seconda linea e con un impatto significativo sulle resistenze antibiotiche, con consumi più elevati al Sud rispetto al Centro e al Nord.
Quasi la metà dei bambini sotto i 13 anni ha ricevuto almeno una prescrizione nel corso del 2023, e anche questo è un dato in crescita rispetto al 2022. Lo stesso vale per gli over 65 che ha assunto antibiotici almeno una volta nell’anno. Un altro dato allarmante riguarda la distribuzione delle prescrizioni secondo la classificazione AWaRe dell’OMS: solo il 54,4% degli antibiotici prescritti in Italia appartiene al gruppo Access, ovvero quelli di prima scelta raccomandati dall’OMS, un dato inferiore al target del 60% e lontano dall’obiettivo UE del 65% entro il 2030.
D’altro canto è difficile pensare che il bisogno di antibiotici cali in un mondo che invecchia.
+1,3% di antibiotici negli ospedali
I dati mostrano che tra il 2020 e il 2021, durante la pandemia da COVID-19, il consumo di antibiotici è diminuito, con una conseguente temporanea riduzione delle resistenze, in particolare per Escherichia coli. Tuttavia, nei due anni successivi, si è registrato un nuovo aumento del consumo di antibiotici, accompagnato da una ripresa delle resistenze.
L’utilizzo di antibiotici in ospedale è un altro punto critico: nel 2023 il consumo è aumentato dell’1,3% e un ritorno ai livelli pre-pandemia. In particolare, il consumo di antibiotici per infezioni da microrganismi multiresistenti è quasi raddoppiato dal 2016, passando da 12,7 a 24,4 dosi giornaliere.
Perché certi antibiotici non sono sufficienti
Nel 90% dei casi, il consumo di antibiotici a carico del Servizio Sanitario Nazionale avviene attraverso prescrizioni del Medico di Medicina Generale o del Pediatra di Libera Scelta. Le penicilline associate agli inibitori delle beta-lattamasi restano la classe più prescritta (ben il 40% del totale), seguite da macrolidi, cefalosporine di terza generazione e fluorochinoloni.
Per chi fosse poco esperto di classi di farmaci, ogni generazione di antibiotici ha caratteristiche specifiche in termini di spettro d’azione (cioè quali batteri sono più sensibili) e resistenza alle beta-lattamasi (enzimi prodotti dai batteri per resistere agli antibiotici). Per esempio gli antibiotici detti di prima generazione, come Cefazolina e Cefalexina sono efficaci soprattutto contro batteri Gram-positivi (streptococchi, stafilococchi sensibili alla meticillina), e vengono usati per infezioni della pelle, delle ossa, delle vie urinarie, profilassi chirurgica, ma sono meno efficaci contro i batteri Gram-negativi resistenti. Quelli di quarta generazione come le Cefepime combinano l’ampia attività contro i Gram-negativi della terza generazione con una maggiore efficacia sui Gram-positivi (compresi alcuni stafilococchi resistenti) e per questo sono usati contro le infezioni nosocomiali gravi, quelle da batteri multi-resistenti, incluse le polmoniti ospedaliere. Gli antibiotici di quinta generazione sono simili a quelli della quarta generazione ma con un’importante aggiunta: attività contro lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA).
Gli antibiotici di quarta e quinta generazione sono tra le ultime risorse disponibili per trattare infezioni gravi e resistenti. Il loro uso eccessivo favorisce la selezione di ceppi batterici resistenti, riducendo nel tempo l’efficacia di questi farmaci.
Quali sono i patogeni più pericolosi
L’analisi dei dati regionali del 2023 conferma una correlazione positiva e statisticamente significativa tra l’aumento dell’uso di antibiotici e l’incremento delle resistenze per tutte le combinazioni studiate. Le combinazioni più pericolose fra patogeno e farmaco rispetto alla resistenza sono: l’escherichia coli resistente alle cefalosporine di terza generazione e ai fluorochinoloni, la Klebsiella pneumoniae resistente alle cefalosporine di terza generazione e ai fluorochinoloni, e lo Streptococcus pneumoniae resistente ai macrolidi.
Come si misura una correlazione statistica?
Questo paragrafo lo mettiamo alla fine per quelli che vogliono capire fino in fondo come vengono misurate queste correlazioni fra resistenza e farmaco. I due indicatori sono il consumo di antibiotici (facile da misurare per AIFA), e la prevalenza di resistenza batterica, che viene misurata attraverso studi microbiologici e epidemiologici che valutano la percentuale di ceppi batterici resistenti a un determinato antibiotico rispetto al totale dei ceppi isolati.
I valori di R di Pearson rappresentano una misura statistica che indica il grado di relazione tra due variabili quantitative. R varia tra -1 e +1, dove +1 indica una correlazione perfetta positiva (quando una variabile aumenta, anche l’altra aumenta in modo proporzionale), 0 indica assenza di correlazione (non c’è una relazione significativa tra le due variabili), e -1 indica una correlazione perfetta negativa (quando una variabile aumenta, l’altra diminuisce proporzionalmente).
Nel contesto dell’uso degli antibiotici e della resistenza batterica, un R compreso tra 0,73 e 0,85 – emerso dal rapporto di AIFA – indica una correlazione positiva forte: all’aumentare del consumo di antibiotici, cresce anche la resistenza batterica.
Per approfondire.
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