La maggior parte delle app che dicono di migliorare un certo aspetto della nostra salute lo fanno attraverso autoproclami pubblicitari. Sono ben poche le app per smartphone che sono state sottoposte a esperimenti scientifici veri e propri i cui risultati sono stati poi sottoposti a revisione fra pari, cioè ad altri scienziati prima di essere pubblicati.
Un team di ricercatori del Dartmouth ha condotto la prima sperimentazione clinica su un chatbot terapeutico basato su IA generativa,e l’articolo è stato pubblicato nientemeno che all’interno della nuova sezione del New England Journal of Medicine dedicata all’IA. Il trial ha riscontrato miglioramenti significativi nei sintomi dei partecipanti. In altre parole il software, chiamato Therabot, parrebbe offrire un supporto comparabile a quello fornito dai professionisti della salute mentale.
A questo punto ci sarà chi si scandalizza. Ma andiamo a capire meglio di che cosa si tratta e come potrebbe essere utilizzato questo servizio.
Lo studio è piccolo, appena 210 persone coinvolte (106 con diagnosi di disturbo depressivo maggiore, disturbo d’ansia generalizzato o disturbi alimentari e 104 soggetti come gruppo di controllo, ossia persone con le stesse diagnosi, ma che non hanno avuto accesso all’app. Quasi il 75% del gruppo Therabot non era sotto trattamento farmacologico o terapeutico al momento dello studio. Nonostante le esigue dimensioni del campione la sua pubblicazione ci dice chiaramente che l’approccio è sdoganato. I partecipanti hanno interagito con Therabot attraverso un’app per smartphone, rispondendo a domande sui loro stati d’animo o iniziando conversazioni nei momenti di bisogno, per una media di sei ore nel corso della sperimentazione, equivalenti a circa otto sessioni di terapia tradizionale.
Dopo una prima fase durata quattro settimane, i ricercatori hanno misurato i progressi dei partecipanti attraverso questionari standardizzati utilizzati dai clinici per rilevare e monitorare le condizioni di salute mentale. Una seconda valutazione è stata effettuata dopo altre quattro settimane, quando i partecipanti potevano ancora iniziare conversazioni con Therabot, ma senza più ricevere suggerimenti. Dopo otto settimane, tutti coloro che avevano usato Therabot hanno registrato una riduzione significativa dei sintomi, superiore alla soglia considerata clinicamente rilevante.
Il video dimostrativo mostra Therabot mentre risponde a un utente con ansia generalizzata attraverso un dialogo aperto, sviluppato dai ricercatori sulla base delle migliori pratiche attuali, basate su evidenze, per la psicoterapia e la terapia cognitivo-comportamentale, selezionate da un team di esperti (umani) in materia. Ad esempio, se una persona con ansia dice a Therabot di sentirsi molto nervosa e sopraffatta ultimamente, l’app potrebbe rispondere: “Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire perché ti senti così”. L’app faceva domande sul benessere delle persone, personalizzando le sue richieste e risposte in base a ciò che apprendeva dalle conversazioni. Nel frattempo i ricercatori valutavano i dialoghi per assicurarsi che il software rispondesse in linea con le migliori pratiche terapeutiche. Questo punto è interessante perché in realtà non è così semplice mettere d’accordo gli esperti di salute mentali su quali siano le “evidenze” in termini di efficacia di una terapia psicologica e psicoterapeutica. Nel mondo della salute mentale ci sono diversi approcci, fra i quali troviamo la psicoterapia e la terapia cognitivo-comportamentale.
Fatte tutte queste premesse, non si può ignorare il fatto che i risultati ottenuti sono interessanti, anche perché il gruppo ha iniziato a lavorare a questo tool già nel 2019. Le persone affette da depressione hanno registrato una riduzione media dei sintomi del 51%, con miglioramenti clinicamente significativi dell’umore e del benessere generale. I partecipanti con ansia generalizzata hanno riportato una riduzione media dei sintomi del 31%, con molti che sono passati da livelli di ansia moderata a lieve o al di sotto della soglia clinica. Anche nei soggetti a rischio di disturbi alimentari, storicamente più difficili da trattare, Therabot ha portato a una riduzione del 19% delle preoccupazioni legate all’immagine corporea e al peso, superando nettamente il gruppo di controllo.
Gli autori dello studio sottolineano che, sebbene la terapia basata su IA mostri un potenziale promettente, è essenziale la supervisione da parte di professionisti della salute mentale. Un problema è che la caratteristica che rende l’IA così efficace è anche ciò che comporta il rischio maggiore: i pazienti possono dirle qualsiasi cosa, e l’IA può rispondere in qualsiasi modo. Lo sviluppo e la sperimentazione clinica di questi sistemi devono rispettare rigorosi parametri di sicurezza, efficacia e tono del dialogo, oltre a prevedere il coinvolgimento attivo di esperti di salute mentale. Michael Heinz, primo autore della ricerca e docente di psichiatria al Dartmouth, evidenzia che l’IA generativa non è ancora pronta per operare autonomamente, data la complessità dei casi ad alto rischio che potrebbe incontrare. Per esempio se rileva contenuti ad alto rischio, come pensieri suicidari, il sistema suggerisce di chiamare il 911 o di contattare una hotline di emergenza con un semplice clic.
La domanda sottesa è se questo tipo di strumento faciliterà o meno le persone a contattare un esperto in carne e ossa, per un dialogo di cura che sia anzitutto relazione con qualcuno prima ancora che la miglior risposta a una domanda. Nei decenni passati la comunità scientifica ha lavorato molto per strutturare un paradigma della cura – intesa in senso molto ampio – basata anzitutto sulla relazione con un’altra persona.
Il punto è che i partecipanti hanno riferito un livello di “alleanza terapeutica” simile a quello che si riscontra nelle interazioni con terapeuti in carne e ossa, secondo lo studio. L’alleanza terapeutica riguarda il grado di fiducia e collaborazione tra paziente e terapeuta, ed è considerata essenziale per il successo della terapia.
Un segnale di questo legame è che gli utenti non solo hanno fornito risposte dettagliate agli stimoli di Therabot, ma hanno anche spesso iniziato le conversazioni di propria iniziativa, sottolinea Jacobson. Inoltre, le interazioni con il software hanno registrato picchi in momenti tipicamente associati a malessere, come nel cuore della notte.
Basta davvero che funzioni, per dirla con Woody Allen, o dobbiamo considerare anche le conseguenze in termini di altri aspetti del nostro essere sociale?
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