«Se doveste decidere di rigettare ogni accordo commerciale [con il Regno Unito, ndr] le conseguenze saranno peggiori per voi che per noi. Se reintrodurrete i dazi ad esempio sulle automobili centinaia di migliaia di lavoratori tedeschi perderanno il lavoro: siamo pragmatici, adulti, stringiamo un accordo di libero scambio». Così il leader dell’Ukip Nigel Farage martedì scorso di fronte al Parlamento europeo, tra i fischi e le proteste dei colleghi. Ma è davvero così?
Al di là della logica, il venir meno di un accordo tra due enti mutualmente beneficiari danneggia entrambi, sono i numeri a dire che l’ottimismo di uno dei fautori politici della Brexit dovrebbe essere più cauto. Intanto la bilancia commerciale, che nel 2014 ha visto un saldo negativo con i Paesi dell’Unione: due anni fa il Regno Unito ha importato merci per 288 miliardi di sterline e ne ha esportati per 226, con una differenza in favore dell’import di oltre 61 miliardi. E se dunque l’Europa deciderà di reintrodurre dazi commerciali con Londra, cosa più che plausibile dopo che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dichiarato che la Gran Bretagna non potrà avere un accesso al mercato unico “à la carte”, l’economia britannica finirà per risentirne. Tanto più che l’Unione europea rappresenta per le aziende inglesi il 44,6% delle esportazioni ed il 53,2% delle importazioni. A dirlo è l’Office for national statistics, l’Istat di Oltremanica, secondo il quale storicamente il saldo commerciale del Regno Unito con il resto d’Europa è negativo. E, altro dato da non sottovalutare nell’analisi, gli scambi tra Gran Bretagna e Ue per due terzi riguardano beni. Aspetto che dovrebbe far scattare un campanello d’allarme in quella working class che, secondo le analisi del voto, si è orientata sul leave al referendum dello scorso 23 giugno.
Farage ha dunque ragione nell’affermare che il venir meno di un accordo di libero scambio tra le due sponde della Manica avrà degli effetti sull’economia del Vecchio Continente. Ma che saranno peggiori di quelli che si vivranno in Gran Bretagna è tutto da dimostrare. Ora, secondo il volume dedicato alle dogane e pubblicato nella serie “Le politiche dell’Ue”, tre quarti delle merci che arrivano in Europa sono esenti da imposte doganali, mentre sul resto si paga una tassa media dell’1,2% sul valore del prodotto. Queste, vale la pena di ribadirlo, sono le condizioni attuali. Bisognerà capire quali saranno quelle contenute in un eventuale accordo commerciale col Regno Unito.
Senza il quale, così ha affermato nel suo discorso Farage, «migliaia di lavoratori tedeschi» impegnati nell’automotive «perderanno il posto di lavoro». E in effetti, se si guarda alle tre principali economie del Vecchio Continente, è proprio quella tedesca la più esposta nei confronti di Londra. Nel 2014 il Regno Unito ha importato da Berlino merci per un valore pari a 98 miliardi di dollari, esportandone per poco più di 46. E un quarto di queste importazioni, per una somma superiore ai 23 miliardi di dollari, ha riguardato proprio l’industria automobilistica. I numeri li ha raccolti l’Observatory of economic complexity utilizzando dati dello United nations commodity trade statistics database.
Per quanto riguarda la Francia, il saldo negativo è di circa 14 miliardi, mentre per l’Italia supera i 13. Detto altrimenti, l’Inghilterra importa dal Vecchio Continente più di quanto esporti. E, in un’ottica di dazi, dovrebbe essere il Regno Unito ad imporli sui prodotti come “rappresaglia” per un mancato accordo di libero scambio. In questo modo, però, andrebbe a spingere l’inflazione riducendo il potere d’acquisto di una sterlina già messa a dura prova il giorno successivo al referendum sulla Brexit.
Volendo porre l’attenzione sui 28 miliardi di dollari di merce partiti nel 2014 dall’Italia alla Gran Bretagna, l’azienda più esposta è quella farmaceutica (1,26 miliardi), seguita da quella che produce componenti per autoveicoli (1,11 miliardi) e da quella automobilistica (1,07 miliardi). Ma anche una prodotto simbolo del made in Italy come il vino avrebbe qualche difficoltà: nel 2014 sono arrivate nel Regno Unito bottiglie per un valore pari a 923 milioni di dollari.
Questa la situazione nel dettaglio
I due grafici sono stati realizzati da AJG Simoes, CA Hidalgo. The Economic Complexity Observatory: An Analytical Tool for Understanding the Dynamics of Economic Development. Workshops at the Twenty-Fifth AAAI Conference on Artificial Intelligence. (2011) con licenza CCBY-SA 3.0.
Per quanto riguarda le esportazioni da Londra all’Italia, a risentire maggiormente di un mancato accordo di libero scambio sarebbero gli appassionati di Aston Martin e Jaguar. Il 13% dell’export britannico nel Belpaese riguarda infatti automobili. E se venissero applicati, ad esempio, i dazi in vigore con gli Stati Uniti, bisognerebbe aggiungere un 10% ad un valore che nel 2014 ha sfiorato gli 1,8 miliardi di dollari.
Per finire, una curiosità: nel 2014 le aziende italiane hanno esportato in Gran Bretagna armi per un valore pari a 52,5 milioni di euro. Vuoi vedere che una delle vittime della Brexit sarà la caccia alla volpe?