Se si votasse oggi, Hillary Clinton avrebbe oltre due possibilità su tre di vincere le elezioni. E anche in vista di novembre, le probabilità che al primo presidente nero succeda la prima donna alla Casa Bianca superano il 63%. A dirlo è uno che le previsioni sui risultati elettorali ha dimostrato di saperle fare, visto che azzeccò la vittoria di Obama sia nel 2008 che quattro anni più tardi.
Si tratta di Nate Silver, statistico e giornalista, che da qualche settimana ha pubblicato su FiveThirtyEight, blog del circuito Espn di cui è direttore, il “2016 General election forecast”. Ovvero una previsione dell’esito delle presidenziali Usa che sarà aggiornato quotidianamente da qui fino alle elezioni di novembre. E la previsione è tutta a favore della Clinton: dall’8 giugno ad oggi le sue probabilità di diventare il 45simo presidente degli Stati Uniti sono sempre state superiori al 50%, con punte dell’89%. Attenzione, questo non significa che l’ex Segretario di Stato vincerà con queste percentuali. La previsione rispetto al voto popolare afferma che la candidata democratica otterrà il 47% dei consensi contro il 44 dello sfidante repubblicano Donald Trump.
Il punto è che alla presidenziali americane non conta soltanto quanti voti si ottengono, ma anche dove. Vincere in California è decisamente più importante che vincere in Alaska: nel primo caso si ottengono 55 delegati, nel secondo appena tre. E visto che per arrivare alla Casa Bianca ne servono almeno 270, trionfare nello Stato che rappresenta da solo la sesta economia mondiale significa aver ottenuto un quinto dei grandi elettori necessari alla vittoria. I californiani sembrano già aver deciso di sostenere la Clinton, che nei sondaggi viaggia intorno al 55% e, secondo Silver, ha il 97,1% di portarsi a casa i 55 delegati del Golden State. Più in generale, la previsione di FiveThirtyEight è questa:
Clinton ha buone probabilità di ottenere anche i 29 delegati dello stato di New York, i 20 dell’Illinois, i 16 del Michigan. E dovrebbe riuscire a vincere anche in Ohio, da sempre considerato cartina di tornasole degli umori dell’elettorato americano, per quanto in questo caso il margine tra i due sfidanti sia di poco meno di tre punti percentuali. Stessa distanza che divide i due sfidanti anche in Florida, lo stato che nel 2000 consegnò la vittoria ai repubblicani: secondo FiveThirtyEight la candidata democratica ha il 54% di possibilità di vincere anche qui. Donald Trump sembra insomma destinato ad accontentarsi degli stati del Sud e del Midwest, da sempre roccaforte del voto repubblicano ma insufficienti a garantire la Casa Bianca.
Bene, ma come funzionano queste previsioni? Il metodo seguito è molto complesso, tanto che Silver ha scritto un lungo post per spiegarlo. Intanto si utilizzano i dati storici delle elezioni passate e si considerano i sondaggi a livello dei singoli stati piuttosto che quelli effettuati sul piano nazionale. Inoltre in questa prima fase il modello è meno sensibile alle variazioni quotidiane nei sondaggi, che diventeranno via via più rilevanti a mano a mano che ci si avvicinerà alla data del voto.
Su queste basi FiveThirtyEight ha elaborato tre modelli. Uno costituito semplicemente utilizzando i sondaggi, un secondo realizzato aggiungendo anche alcuni indicatori economici. Sono questi ultimi ad evidenziare un margine più ristretto tra i due candidati alla presidenza, anche se le probabilità della Clinton di vincere rimangono superiori al 62%. Infine c’è la cosiddetta Now-cast”, ovvero una previsione quotidiana di come finirebbero le elezioni se si votasse oggi. Si tratta di quella che maggiormente risente dell’attualità: non a caso le probabilità di vittoria dell’ex Segretario di Stato hanno subito un crollo di otto punti subito dopo la pubblicazione del rapporto finale della commissione chiamata a fare luce sul cosiddetto scandalo del Mail-Gate. Ed hanno ripreso a salire dopo l’endorsement di Bernie Sanders nei suoi confronti. Un nuovo crollo del divario tra i due sfidanti si è registrato a partire dal 12 luglio, pochi giorni dopo che Micah Johnson ha ucciso cinque poliziotti a Dallas durante una manifestazione contro le violenze degli agenti contro la popolazione afroamericana. E un altro calo si è registrato il 14 luglio, giorno dell’attentato a Nizza: storicamente è difficile che quello che succede nella vecchia Europa influenzi l’elettore medio americano, ma quando il candidato repubblicano afferma di voler impedire ai musulmani l’ingresso nel Paese un attentato come quello che ha sconvolto la Francia fa ovviamente il gioco del “Great old party”.
Senza dimenticare che lunedì si è aperta a Cleveland la convention repubblicana, che dovrà sancire definitivamente la scelta di Trump come candidato alla presidenza. In un post pubblicato ieri, Nate Silver ha spiegato come in questo momento la Clinton abbia lo stesso vantaggio che aveva Barack Obama su McCain nel 2008 ed un margine ancora maggiore di quanto il presidente uscente abbia avuto quattro anni più tardi su Mitt Romney. Il distacco è simile a quello di John Kerry su George W. Bush nel 2004, quando i democratici vinsero il voto popolare ma persero il conteggio dei grandi elettori, assicurando così un secondo mandato al presidente uscente. Ma, sottolinea Silver, la distanza è simile a quella che furono in grado di recuperare sia Ronald Reagan che il suo successore George H. W. Bush, poi eletti alla Casa Bianca anche grazie ad una convention capace di compattare il partito intorno al candidato alla presidenza. Proprio quello di cui i repubblicani, usciti “lacerati” dalla campagna delle primarie, hanno bisogno in questo momento.
A prescindere alle oscillazioni, le probabilità di una nuova vittoria democratica non sono mai scese sotto il 60%. I numeri, insomma, dicono che le possibilità per Trump di rendere l’America grande di nuovo, come recita il claim della sua campagna elettorale, non sono poi così alte. Tutto sta a capire se gli elettori confermeranno.