Ministeri, enti pubblici, Regioni ed enti locali hanno messo in programma di abbandonare 1.650 su 4.701 partecipate dirette. Suona così il primo numero ufficiale sui piani di razionalizzazione che le Pa hanno dovuto approvare entro il 30 settembre, e comunicare entro il 10 novembre, alla struttura di controllo creata al ministero dell’Economia. Insieme alla Funzione pubblica, ieri via Venti Settembre ha reso noti i dati che confermano la tendenza a “tagliare” in pratica una partecipata su tre, già emersa fra i capoluoghi nell’inchiesta pubblicata il 1° ottobre sul Sole 24 Ore. Se si estende questa dinamica al complesso delle partecipate, l’addio potrebbe risuonare fino a 2mila volte.
Come sempre quando ci si addentra nelle ramificazioni societarie della Pa, infatti, i numeri hanno bisogno di spiegazioni. Al censimento di Mef e Funzione pubblica hanno risposto 8.771 amministrazioni, cioè l’83% del totale, e la gran parte di chi è rimasto in silenzio è rappresentata da piccoli Comuni. Il quadro, insomma, non è completo ma è ampio, e conta 5.791 società: siccome ogni azienda può avere più soci pubblici, le partecipazioni sono 32.504.
Le prime analisi ministeriali si sono concentrate sulle partecipazioni detenute direttamente dalle Pa, e non da altre società pubbliche. Sono 4.701, nel 55% dei casi a maggioranza pubblica mentre nelle altre gli enti sono in minoranza. Nel primo campo, le Pa hanno dichiarato di voler dismettere 747 aziende, aggiungendo al programma anche 118 procedure di fusione; in 785 casi, poi, hanno dichiarato di voler vendere anche le partecipazioni di minoranza.