Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat martedì su occupazione giovanile (a novembre il tasso di senza lavoro degli under25 è sceso al 32,7%, restiamo comunque terzultimi in Europa, davanti solo a Spagna e Grecia) e la crescita ininterrotta, da alcuni mesi, dei contratti a termine (e meno dei rapporti stabili) riaccende lo scontro tra Forza Italia e Pd sul Jobs act. A lanciare ieri una stoccata alla riforma del mercato del lavoro, varata nel 2014 dal governo Renzi, e completata con otto decreti delegati successivi, è stato Silvio Berlusconi. «Il provvedimento sta esaurendo i suoi effetti – ha detto in mattinata l’ex premier –. È sostanzialmente fallito perché non ha indotto le imprese a creare occupazione a tempo indeterminato»; poi, in serata, ha corretto il tiro: «Non ho detto di voler smantellare la riforma del 2014».
Il Jobs act e il parziale superamento dell’articolo 18 «hanno dato una spinta alla ripartenza del Paese, l’hanno sbloccato – ha replicato Matteo Renzi –. La destra ora vuole fare marcia indietro? Sarà contento il Nord-Est, il mondo produttivo, vorrei vedere che ne pensano gli imprenditori di tornare al mondo del lavoro del passato». Il Pd sta lavorando a una proposta complessiva sul lavoro da circa 1-1,5 miliardi, incluso il salario minimo.