La zampata di Ferrero, che ha rilevato il segmento dolci della Nestlé negli Usa, è stata salutata come una boccata d’ossigeno da chi teme che il made in Italy alimentare sia sempre più preda degli investitori stranieri. Nell’anno del cibo italiano nel mondo i nostri marchi sono dunque diventati predatori?
L’operazione Ferrero pesa parecchio sulla bilancia, tra barrette Butterfinger e caramelle weeTarts ci sono voluti 2,8 miliardi di euro. Ma se guardiamo agli ultimi tre anni delle operazioni di M&A in Italia nel segmento alimentare, non c’è storia: la bilancia pende vistosamente dal lato delle uscite. Tra il 2015 e il 2017 gli investitori stranieri hanno rilevato i marchi dell’alimentare italiano per oltre di 5,4 miliardi. mentre lo shopping oltreconfine delle aziende italiane del settore è stato di soli 360 milioni. Un quindicesimo.
I calcoli arrivano dagli esperti della banca dati Bureau Van Dijk, che hanno mappato tutte le acquisizioni – di maggioranza, di minoranza e aumenti di capitale – condotte in Italia con oggetto le imprese del segmento alimentari e bevande. L’effetto Expo – anche il 2015 è stato un anno di riflettori puntati sul cibo made in Italy – si è fatto sentire: nel 2016 lo shopping straniero di marchi alimentari italiani ha superato i 3,2 miliardi, il doppio rispetto agli 1,5 totalizzati nel 2017 e ai 600 milioni del 2015. Il 2016 è stato anche l’anno della maggiore operazione realizzata nel triennio, l’acquisizione della birra Peroni da parte della giapponese Asahi per 2,55 miliardi di euro.