Il progressivo invecchiamento della popolazione non provocherà solo un aumento per spesa pubblica per pensioni, salute e assistenza ma potrebbe avere effetti avversi anche sulla crescita potenziale. L’avvertimento arriva dall’ultimo Bollettino economico della Bce e segue di qualche giorno la pubblicazione del discusso working paper del Fmi che mette in dubbio le stime a medio-lungo periodo della spesa previdenziale italiana. Gli analisti dell’Eurotower hanno provato a quantificare con modelli stilizzati gli effetti macro di uno shock da invecchiamento calcolando gli equilibri economici generali che si potrebbero determinare. Nell’eurozona il calo del Pil pro capite potrebbe arrivare fino al 4,7% nel lungo periodo. A causa della minore offerta di lavoro salirebbe poi il rapporto capitale/lavoro con un conseguente calo dei tassi di interesse determinato anche da minori consumi, con effetti diretti in termini di minore gettito Iva. Su un orizzonte temporale molto ampio e senza interventi correttivi il rapporto debito/Pil dell’area sarebbe destinato a crescere fino a 60 punti oltre i livelli attuali.
Qui trovate le proiezioni demografiche contenute nel rapporto The 2018 Ageing Report: Underlying Assumptions and Projection Methodologies da cui si possono estrapolare le proiezioni demografiche in base ai dati Eurostat 2015 e confrontarle con le stime di crescita potenziale del Pil (per capita e per worker).
Nell’Info Data si può vedere la relazione tra le aspettative di vita e la crescita del Pil dal 2016 al 2070
Qui invece quando l’Italia avrà il picco dell’invecchiamento.
Trent’anni esatti ci separano dal picco di invecchiamento della popolazione italiana. Accadrà tra il 2045 e il 2050, quando anche le ultime, popolose coorti dei baby boomers (i nati tra il 1961 e il 1975), passeranno dalla tarda età lavorativa (fino a 64 anni) alla senilità. Come ha spiegato con dovizia di dati l’Istat un paio di giorni fa il processo è da considerarsi “certo e intenso”. Il calo demografico sarà accompagnato da un inesorabile invecchiamento dei residenti
Per quanto riguarda l’Italia dopo aver realizzato una mappa che mostra l’indice di gioventù, ovvero il rapporto tra gli under 18 e gli over 65, questa volta si è deciso di mettere in relazione questo indicatore con due elementi che aiutano a determinare la ricchezza di un territorio: il reddito medio Irpef e il tasso di occupazione. Obiettivo, capire se esista una qualche relazione tra questi elementi e l’età della popolazione.
Entrambi gli indicatori sono stati considerati su base provinciale. È a questo livello di dettaglio, infatti, che Istat fornisce i dati relativi al tasso di occupazione. In particolare, si è scelto di concentrarsi su tre fasce d’età: quella tra i 25 ed i 34, quella tra i 35 ed i 44, quella tra i 45 ed i 54. Questo perché si tratta dell’età che, verosimilmente, hanno i genitori degli under 18.
L’anno di riferimento per quanto riguarda questi numeri è il 2015. Questo perché le informazioni più recenti riguardanti i redditi, rese disponibili dal Ministero dell’Economia, sono quelle legate alle dichiarazioni compilate 2016. Che fanno cioè riferimento ai redditi percepiti l’anno precedente. Per quanto riguarda l’indice di gioventù, rimane quello calcolato sui numeri aggiornati al 1 gennaio 2017. Il risultato, incrociando questi dati, è rappresentato in questa infografica:
Come si può leggere, ogni grafico rappresenta una delle tre fasce d’età considerate. Già il colpo d’occhio conferma gli elevati livelli di disoccupazione giovanile nel nostro Paese. Nella fascia tra i 45 ed i 54 anni il tasso di occupazione non scende al di sotto del 47%, mentre tra i 25 ed i 34 si arriva addirittura al 25,36% (il dato è relativo alla provincia di Vibo Valentia).
In generale, più un punto si trova a destra più in quella provincia è alto il tasso di occupazione, più è in alto maggiore è il reddito medio. I colori dei punti rappresentano invece l’indice di gioventù, ovvero il rapporto tra la popolazione under 18 e quella over 65. Quelli colorati in arancione hanno un indice inferiore a quello nazionale, pari a 0,775, quelli in azzurro ne presentano uno superiore. Più la tonalità è scura, più ci si allontana dal dato nazionale.
Premessa lunga, ma necessaria per permettere di comprendere l’infografica. E il primo elemento che emerge è che nelle zone a reddito medio e tasso di occupazione più bassa l’indice di gioventù è più alto. In alcuni casi, come nelle province di Napoli, Caserta o Crotone, è addirittura superiore a 1. Questo significa che, in numeri assoluti, gli under 18 sono più numerosi degli over 65.
Indici di gioventù alti, anche se non superiori ad 1 (l’unica eccezione è rappresentata da Bolzano), si trovano anche nella fascia più alta. Quella cioè in cui maggiore è l’occupazione e più alto il reddito medio. Sebbene siano circondati da punti arancioni, in cui cioè, semplificando all’estremo, la popolazione è più vecchia rispetto a quella nazionale.
Ma le tonalità arancioni, ovvero gli indici di gioventù inferiori a quello nazionale, si concentrano nella fascia media. E questo vale per ciascuna delle tre classi di età considerate. Un tasso di occupazione che oscilla tra il 60 ed il 70% per i più giovani, tra il 65 ed il 75% per gli over 35. E redditi compresi tra i 15 ed i 20mila euro annui. Il ceto medio, insomma. Quello che magari ha le possibilità economiche di mantenere dei figli. E che invece, in queste province che la rappresentano, ne mette al mondo meno di quanti ne nascano in aree del Paese più economicamente disagiate.
Tornando al quesito di partenza, i numeri sembrano suggerire che la popolazione sia più giovane dove le condizioni economiche siano più disagiate. O, in parte minore, dove la situazione è decisamente migliore sotto questo punto di vista. Le zone di mezzo, invece, stanno invecchiando.