Contributo a cura di Prometeia Associazione, think tank macro della società di consulenza Prometeia
Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione rimane su livelli minimi, inferiori al 4%, e i salari orari stanno accelerando il ritmo di crescita, con una intensità osservata solo prima della grande crisi (Figura 1). Condizioni molto “strette” del mercato del lavoro, quindi, che non per forza però comporteranno il surriscaldamento dell’inflazione e un più rapido inasprimento della politica monetaria da parte della Fed.
Le nostre stime della curva di Phillips, che lega le condizioni del mercato del lavoro all’inflazione al consumo a cui fa riferimento la banca centrale americana (Personal Consumption Expenditure, si veda la Prometeia Discussion Note di marzo 2018), evidenziano infatti che negli ultimi anni l’effetto causale tra le due variabili si è allentato. Di conseguenza, anche in prospettiva, l’impatto di un eventuale ulteriore miglioramento del mercato del lavoro sull’inflazione sarebbe contenuto. Miglioramento che peraltro non è nelle nostre previsioni, in considerazione del rallentamento previsto per il 2019.
Altri costi non direttamente collegati al mercato del lavoro, come il prezzo del petrolio e più in generale il prezzo dei beni importati, poi, potrebbero esercitare un effetto al ribasso sull’inflazione americana nel breve termine. Inoltre, le aspettative di inflazione rimangono ancorate intorno al 2%. La figura 2 mostra la scomposizione dell’inflazione Usa (espressa come deviazione rispetto al target Fed del 2%) tra le sue varie determinanti, includendo anche tre anni di previsione.
Tutto sommato, quindi, la probabilità di un ritorno di inflazione elevata negli Stati Uniti rimane contenuta. L’atteggiamento prudente della Fed nei confronti del ritmo di normalizzazione della politica monetaria, nel contesto di un indebolimento delle prospettive globali, non sarà probabilmente compromesso da un aumento inatteso dell’inflazione salariale.