La prima puntata sulla salute dei fiumi lombardi la trovate qui. Tornando indietro fino al 2009, possiamo identificare grosso modo due fasi: una prima di discreto miglioramento, durata grosso modo dal 2009 al 2014, e più di recente una relativa stabilità. Certamente comunque oggi questo genere di analisi mostra che le cose vanno meglio di un tempo. Per esempio proprio nel 2009 il 26% delle stazioni monitorate dava risultati scarsi o cattivi, valori calati nel 2018 al 20%; il 40% dei risultati sono elevati contro il 30% di nove anni prima, e così via.
Per dare un quadro un po’ più stabile nel tempo, al di là di inevitabili fluttuazioni di un anno o dell’altro, i ricercatori dell’ARPA hanno prodotto un rapporto la cui ultima versione considera il triennio 2014-2016. Scorrendolo scopriamo fra l’altro che “sulla base della valutazione degli elementi fisico-chimici a sostegno attraverso l’indicatore LIMeco (stato dei nutrienti e bilancio dell’ossigeno), circa il 58% di tutti i corpi idrici monitorati raggiunge uno stato almeno buono. Se si considera la natura degli stessi, tale percentuale arriva al 64% per quelli naturali e scende al 37% per quelli artificiali e fortemente modificati. Una percentuale maggiore la ritroviamo se si considerano i singoli sottobacini in cui è suddiviso il territorio lombardo fatta eccezione per il bacino del Lambro-Olona e dell’asta Po, ove la percentuale di corpi idrici con uno stato almeno buono per gli elementi chimico-fisici risulta inferiore al 30%”.
L’indicatore LIMeco però non include al suo interno la presenza di alcuni elementi chimici nei corpi d’acqua, nel qual caso invece altre rilevazioni mostrano che “lo stato buono o elevato è conseguito da circa il 48% di tutti i corpi idrici monitorati”, mentre “se si considera la natura degli stessi, tale percentuale arriva al 55% per quelli naturali e scende al 21% per quelli artificiali e fortemente modificati”.
Questo ci fa capire che in realtà non esiste un numero unico in grado di dar conto di tutto, quanto piuttosto una serie diversa di misure che analizzano ognuna un aspetto differente della questione. Solo per restare al Po, cui l’ARPA Lombardia ha dedicato un intero documento, troviamo per esempio che un identico corso d’acqua può avere un indice LIMeco anche buono, ma presentare poi problemi di altro tipo.
Prendendo infatti proprio lo stato ecologico del Po, per restare al principale fiume italiano, l’ARPA sottolinea che spesso si trovano situazioni sufficienti o scarse, con aree di grado “cattivo” per quattro corpi idrici; raggiungono invece lo stato ecologico buono quattro corpi idrici mentre nessuno è risultato in stato elevato.
“Le stazioni di tipo scarso e cattivo”, ricordano gli autori, “si concentrano soprattutto nei tratti in chiusura dei corsi d’acqua secondari, appena prima della loro immissione in Po. Questa situazione è determinata, oltre che dall’accumularsi degli inquinanti trasportati, dalle maggiori pressioni a cui sono sottoposti i corsi d’acqua nei tratti finali di pianura, dove sono concentrate la popolazione e le attività produttive, sia agricole che industriali. Si evidenzia che la maggior parte di questi corsi d’acqua fornisce in ogni caso in media al Po un apporto volumetrico e di inquinanti relativamente modesti, non confrontabili con il contributo dei grandi fiumi alpini e appenninici”.
Per quanto riguarda gli elementi biologici, invece, nel Po “lo stato degli elementi biologici è buono per solo nove dei 34 corpi idrici naturali monitorati, mentre 13 corpi idrici risultano in stato scarso o cattivo, non mostrando significative variazioni rispetto al sessennio 2009-2014”. Diversi problemi risultano anche guardando allo stato chimico dei diversi corsi d’acqua, che sempre nel 2014-2016 si trovano in uno stato “non buono” in poco meno della metà dei casi.
“Le sostanze prioritarie che più si rilevano in concentrazioni superiori allo standard”, scrive l’ARPA, “sono: esaclorocicloesano, esaclorobenzene, pentaclorobenzene, trifluralin, nella provincia di Pavia, mercurio in quella di Cremona ed esaclorobenzene in quella di Mantova”.
Se in generale l’indicatore LIMeco è in miglioramento in Lombardia, nel caso del Po esistono invece situazioni di “discreto peggioramento”, quanto meno nel caso del suo stato ecologico. Rispetto al periodo precedente infatti sono sia aumentate da zero a quattro le stazioni in stato cattivo, sia quelle scarse passate da 12 a 16. Lo stato chimico del grande fiume, ricorda ancora l’agenzia, sembra invece essere rimasto grosso modo stabile nello stesso periodo di tempo.
Più in generale, come ricorda l’istituto nazionale di statistica, la qualità dei corsi d’acqua è fondamentale intanto perché da essi arriva parte dell’acqua che arriva nei nostri rubinetti. “Nel 2015”, scrive l’istituto, “un terzo dei volumi di acqua prelevati per uso potabile sul territorio italiano proviene da un trattamento di potabilizzazione, più complesso rispetto alle ordinarie operazioni di disinfezione o clorazione, che consiste nella rimozione delle sostanze contaminanti all’acqua grezza per garantirne la qualità nelle reti, fino al rubinetto dei consumatori”. E “la potabilizzazione è conseguenza delle caratteristiche del corpo idrico da cui sono captate le acque. Le acque sotterranee, essendo generalmente di migliore qualità, non richiedono di norma processi di potabilizzazione, ad eccezione dei casi in cui siano stati riscontrati fenomeni di inquinamento di origine antropica o naturale”. Il contrario vale per le acque superficiali, che hanno bisogno di essere rese potabili quasi in tutti i casi.
Questo è proprio il caso della Lombardia e del Po, dove “il trattamento impatta su quasi la metà dei prelievi e risulta necessario nonostante l’intenso sfruttamento di acque sotterranee”. Essa, d’altra parte, è anche la regione da cui si preleva la fetta maggiore di acqua per uso potabile (il 16% del totale nazionale, sempre secondo Istat) – fatto che rende ancora più importante tenere sotto controllo la qualità delle sue acque.
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