L’Italia ha dovuto rallentare. Sono ormai lontani i tempi di #Milanononsiferma e degli hashtag che puntavano al rilancio della vita di tutti i giorni lungo lo stivale. Sembra passato un secolo. Sono solo poche settimane.
Le misure del Governo si sono fatte ogni giorno più stringenti. Gli italiani, storicamente anarchici, si sono ormai responsabilizzati o semplicemente rassegnati alla necessità di rispettarle. Abbiamo cercato di capire quanto è ambiata la vita degli italiani con l’uso dei dati. Qual è il reale impatto delle misure sulla mobilità? Per analizzare i comportamenti degli italiani ci siamo affidati a Next 14, gruppo specializzato in marketing technologies, che ha raccolto ed interpretato i dati necessari per capire quanto lo smart working sia applicato sul territorio italiano e come questo abbia avuto impatto sugli spostamenti. Per farlo sono stati aggregati e incrociati dati geo-referenziati con indicatori Istat, Agenzia delle Entrate, Open Data, riuscendo così ad analizzare i flussi di spostamenti degli italiani presi a campione.
La rilevazione è stata fatta su un campione nazionale, nei 5 giorni lavorativi dal 18 marzo al 25 marzo, confrontati con i dati nei primi cinque giorni lavorativi di febbraio, precedenti al decreto di lock down e al primo caso di Codogno.
Cosa ci raccontano questi dati? Guardiamo prima al dato generale. La media italiana. La percentuale di persone che dal 18 al 25 marzo sono rimaste a casa è del 33%. Solo il 21% ha continuato ad andare al lavoro, mentre il 19% è uscito da casa, senza andare al lavoro, con tragitti tra i 200 mt e 500 mt. C’è anche chi si è mosso su distanze più lunghe. Il 27,5% del campione si è allontanata da casa per più di 500mt. Questa settimana, riassumendo, il 68% dei lavoratori italiani non è più andata a lavorare.
Guardiamo ora al dettaglio delle singole regioni, partendo da un’informazione iniziale. Se osserviamo l’andamento, la variazione dei comportamenti nell’ultima settimana lavorativa rispetto alla prima settimana di febbraio è abbastanza simile in tutta Italia. Le regioni con percentuali più elevate di persone rimaste a casa nell’ultima settimana riportavano percentuali più elevate della media anche nella prima settimana di febbraio. Non si riscontra uno scostamento sensibile tra le varie regioni, nonostante situazioni epidemiologiche diverse. Un dato che possiamo considerare positivo. A conferma che i decreti, allargati ormai a tutta Italia, hanno avuto effetti sull’intero paese senza eccezioni e comportamenti irresponsabili in aree specifiche.
La regione che ha avuto il più alto tasso di abbattimento della mobilità è la Valle d’Aosta, seguita da Campania e Lazio. La Lombardia ha ridotto la sua mobilità del 53.9%. Il 77.2% dei lavoratori lombardi non si è recata sul posto di lavoro, sfruttando lo smart working e rimanendo a casa. Solo il 19.3% era negli uffici o nelle fabbriche sul territorio. Milano viaggia su percentuali più alte, considerando che il 31,9% del totale dei milanesi continua ad andare al lavoro. Se consideriamo solo i lavoratori e non l’intera popolazione, il 55% non è più tornata al lavoro in ufficio.
La percentuale più alta di persone rimaste a casa si registra in Trentino. Ci si muove molto soprattutto in Puglia, Lombardia e Lazio. Anche in quest’ultima regione la capitale continua ad andare ad un ritmo diverso dal resto della regione. Se il 19.8% dei lavoratori del Lazio si reca ancora sul posto di lavoro, a Roma questa percentuale si alza fino al 27%. Il 58% dei lavoratori della capitale non è tornata sul posto di lavoro, una percentuale solo leggermente superiore a quella di Milano. La percentuale più alta di utenti al lavoro si raggiunge in Basilicata (24.3%), Veneto (23.3%) e Umbria (22.4%). Coerentemente, la Basilicata ha anche i numeri più bassi dei lavoratori occupati a casa di tutta Italia (il 59.5%).
In media la mobilità si è ridotta del 52.7%. Un valore che dimostra il notevole impatto delle misure governative sulla vita e la mobilità degli italiani. L’attesa ora si sposta sui numeri più importanti del momento, quelli legati all’epidemia. Se il segnale sugli spostamenti può far ben sperare che la diffusione del contagio sia quantomeno rallentata, tradurre questi numeri in sensibili miglioramenti sul fronte sanitario è l’obbiettivo e la speranza di tutti.