Una questione che ci si sta ponendo con la fase 2 riguarda la logica con la quale è stato deciso chi (non quante persone!) ognuno di noi può visitare. Stando a ciò che è stato dichiarato dal Governo, sì a parenti, anziani inclusi, sì a non meglio precisati “affetti stabili”, no ad amici.
Ci poniamo due domande. La prima: ci chiediamo se la scelta di permettere ai parenti di visitare gli anziani, senza porre dei limiti nel numero di nuclei famigliari con cui entrano in contatto sia il modo più saggio per proteggerli e al tempo stesso garantire loro l’aiuto necessario. Una persona di 70 anni con quattro figli, che a loro volta hanno due figli potrebbe ricevere quotidianamente 12 persone, senza contare i relativi partner “stabili”. Al tempo stesso chi non ha famiglia ma magari ha bisogno di aiuto, anche morale, potrebbe continuare a restare svantaggiato. Certo c’è il buon senso, ma qui parliamo di normativa.
La seconda domanda riguarda chi la famiglia ce l’ha in un’altra regione, chi non ce l’ha più e chi per ragioni proprie la famiglia ce l’ha ma non la vuole vedere. Perché queste persone non dovrebbero avere diritto di incontrare – con tutte le precauzioni – poche persone che essi ritengono “famiglia”? Di nuovo, come abbiamo spiegato qualche giorno fa, scegliere un criterio qualitativo e non quantitativo è scivoloso.
Chi la famiglia ce l’ha lontano
Vediamo qualche dato. Non si tratta di numeri irrisori: secondo il Report di Istat sulle migrazioni del 2018, dal 2009 al 2018 più di cinque persone su 1.000 coloro hanno spostato la propria residenza in un’altra regione. Si parla in questo caso di “migrazione interna”. Senza contare chi da molto più tempo vive in un’altra regione rispetto alla propria famiglia. Purtroppo non abbiamo trovato i dati precisi su quante persone vivono in una regione diversa da quella di origine, dove si presume possa vivere la maggior parte dei “congiunti”, e in generale in questo dato sono incluse anche le persone che sono tornate vicino alla famiglia.
Ci sono regioni dove sono in tanti a essersene andati nel corso del tempo. In generale, tutte le regioni del Centro-nord mostrano saldi netti positivi o prossimi allo zero mentre le regioni del Mezzogiorno mettono in evidenza perdite nette di popolazione, che oggi si trovano a vivere lontano dalla famiglia. Nel dettaglio, in dieci anni il saldo migratorio netto più elevato per 1.000 residenti si ha nelle province autonome di Trento e Bolzano (rispettivamente +3,6 e +3,5 per 1.000), seguono Emilia-Romagna (+3,4 per 1.000), Friuli-Venezia Giulia (+2,7 per 1.000) e Lombardia (+2,3 per 1.000). I tassi migratori netti più bassi si registrano in Calabria (-4,6 per 1.000), Basilicata (-4,3 per 1.000) e Molise (-3,7 per 1.000). Le province che perdono più residenti, facendo registrare saldi migratori netti più bassi, sono Caltanissetta (-8 per 1.000), Crotone, Reggio Calabria ed Enna (tutte con tassi pari a -6 per 1.000).
Demografia degli anziani
Anzitutto quantifichiamo chi non ha famiglia: sono oltre 689 mila gli anziani con più di 70 anni celibi o nubili sui 10,2 milioni di coetanei viventi nel 2019, che quindi – probabilmente – non hanno figli e non sono nonni. A questi si aggiungono 235 mila divorziati e 3,5 milioni di vedovi e vedove. Gli anziani sono abituati ad incontrarsi spesso fra loro. Secondo i dati Istat “Aspetti di vita quotidiana”, il 12% circa degli over 65 – una persona su otto – è abituata a incontrare coetanei (parenti e non) ogni giorno, e un ulteriore 20% più di una volta alla settimana e il 15% una volta a settimana.
Secondo una nota Istat pubblicata il 27 aprile 2020, fra gli over 75, il 20% convive con i figli, il 15% vive nello stesso caseggiato e un ulteriore 25% vive a meno di un chilometro da almeno un figlio. Gli altri 4 anziani su 10 no e il 38% degli over 75 vive proprio da solo. L’8,9% non ha figli e vive solo e l’1% ha figli addirittura all’estero.
Poi ci sono i nonni, che secondo le stime sarebbero 12 milioni in Italia. Secondo Istat, il 66,4% dei bambini fino a 13 anni (cioè 2 su 3) e oltre il 68% dei bambini fino a 10 anni è abitualmente affidato ai nonni.
È evidente infine che quando si parla di dati riguardanti gli anziani dobbiamo considerare l’aiuto domestico, sia in caso di disabilità che di fragilità. Nel complesso la condizione di disabilità, coinvolge 15 persone su 100, cresce con l’età e in particolar modo dopo gli 85 anni, quando arriva a interessare quasi un anziano su 2. Secondo i dati della rilevazione Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, la maggior parte – precisamente il 94% – delle persone con disabilità, dichiara di ricevere aiuto dai propri familiari, il 36% da badanti, l’11% da conoscenti.