Vale la pena andarci cauti con le stime sulla ricchezza delle famiglie, soprattutto in tempi di crisi. Sbandierare 9,7 trilioni netti, 8,4 volte il reddito degli italiani, come punto di forza di una nazione ricaduta in recessione è in buona parte fuorviante. Ecco due cifre par farsi un’idea: nel 2017 le abitazioni degli italiani valevano 5,2 trilioni, cui vanno aggiunti altri 679 miliardi in fabbricati di proprietà non residenziali, mentre in portafoglio i biglietti e i depositi (le attività più liquide) si fermavano a 1,3 trilioni. E le passività, tra cui i mutui sulle medesime abitazioni, erano invece superiori a 926 miliardi. Insomma ricchi sì, eccessivamente sbilanciati nella propensioni al risparmio si potrebbe anche aggiungere, ma di una ricchezza non così facile da monetizzare in tempi rapidi se le circostanze lo richiedono.
Mappa regionale dell’Europa e Pil pro capite.
L’ultima lezione su queste statistiche, così difficili da costruire soprattutto se il profilo deve essere armonizzato e dunque comparabile almeno a livello Ocse, ci arriva da un Occasional Paper (n.559) pubblicato a fine aprile dalla Banca d’Italia e curato da Luigi Infante e Francesco Vercelli.
Il taglio è introduttivo e mira a incorniciare i conti patrimoniali nel sistema della contabilità nazionale, numeri costruiti utilizzando i dati finanziari raccolti dalla Banca d’Italia e quelli sulle attività non finanziarie calcolati dall’Istat.
Dopo aver illustrato i nodi teorici e metodologici che accompagnano queste misurazioni da oltre un secolo – da Maffeo Pantaleoni e Corrado Gini fino a Thomas Piketty – si arriva a una fitta serie di grafici e tabelle che ridimensionano molte immagini nazional-popolari. Se è vero che il rapporto tra ricchezza netta e reddito è più elevato da noi rispetto ad altre economie continentali è altrettanto vero che ormai da tempo il divario si è ridotto.
Ecco, nel grafico, come andranno le cose a livello di Pil e risorse utilizzate nelle diverse aree del pianeta:
Da oltre un ventennio i redditi delle famiglie ristagnano e basta uno sguardo a un grafico sulla ricchezza netta pro capite per scoprire che non siamo certo i primi in classifica. La linea dell’Italia è piatta da almeno un decennio sui 160mila euro netti, il valore più basso rispetto a una batteria di paesi come Francia, Giappone, Canada, Paesi Bassi e Regno Unito. Vale forse aggiungere che nelle grandi economie non raccolte nelle grafiche – come Gemania e Stati Uniti dove mancano le stime sulle attività non prodotte e le scorte – i redditi da lavoro certo sono cresciuti più che in Italia, dando un peso ben diverso al denominatore. Le famiglie detengono la maggior parte della ricchezza netta del paese, un valore che è cresciuto a con un tasso medio annuo dell’1,3 per cento tra il 2005 e il 2017, mentre lo Stato è inchiodato sui valori negativi dovuti all’elevatissimo debito pubblico. Ma il peso delle attività non finanziare, come visto, prevale nel nostro conto patrimoniale, tanto è vero che arriviamo dopo gli altri paesi della classifica Ocse nel rapporto tra valore delle attività finanziare e il valore delle attività reali.
Il Paper di Bankitalia concentra le sue conclusioni sui margini di miglioramento che restano nella produzioni di statistiche sulla ricchezza delle nazioni in un mondo caratterizzato da una sempre maggior disponibilità di dati. Le difficoltà di armonizzazione restano e il dibattito aperto dall’Ottocento su queste misurazioni è destinato a proseguire, spiegano gli autori. In questa nostra recensione ci limitiamo a ribadire la raccomandazione alla cautela: leggiamo quei dati per quelli che sono, le classifiche valgono fino a un certo punto e se la ricchezza conta contano ancora di più la sua distribuzione e il reddito da lavoro. Soprattutto in tempi di crisi.