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politica

Perché chi parte svantaggiato da bambino, ci resta?

In 20 anni, dal 1996 al 2016, in Etiopia, la povertà estrema è scesa dal 61% al 24%. In Perù nel 2002 solo il 60% delle famiglie aveva accesso all’elettricità, dopo 15 anni nel 2016, la luce era entrata nel 96% delle case. In Vietnam si è passati nello stesso periodo dal 55% delle famiglie con  accesso all’elettricità al 97% del 2016.

Stando ai dati del rapporto finale  delle Nazioni Unite su quanto abbiamo raggiunto in 15 anni di Obiettivi di Sviluppo del Millennio dal 2000 al 2015, nel 1990, quasi la metà della popolazione nelle regioni in via di sviluppo del mondo viveva con meno di 1,25 dollari al giorno, un tasso sceso al 14% nel 2015. Il numero di persone che vivevano in condizioni di estrema povertà  è passato dai 1,9 miliardi del 1990 agli 836 milioni del 2015, con la maggior parte dei progressi registrati dal 2000. La percentuale di persone denutrite nelle regioni in via di sviluppo è diminuita di quasi la metà dal 1990, passando dal 23% al 12% nel biennio 2014-16.

La domanda è: quanto questi cambiamenti positivi hanno impattato sulla salute della popolazione nata in quel periodo e oggi ventenne? Che cosa rende difficile emanciparsi dallo svantaggio?

Dati importanti

Oggi abbiamo i primi dati per rispondere a questa domanda proveniente dallo studio ventennale Young Lives dell’Università di Oxford sulle cause della povertà infantile è così interessante. Si chiamano studi longitudinali le ricerche che studiano gli stessi gruppi di popolazione per lungo tempo, permettendo così di ottenere risultati più solidi, rispetto agli studi dove il campione è simile nel tempo ma non costituito dalle medesime persone. Non è quindi facile avere dati di studi longitudinali ed è per questo che queste considerazioni sono importanti. Lo studio britannico ha seguito per 20 anni la vita di 12.000 bambini nati in alcuni paesi allora in via di sviluppo: Etiopia, India, Perù e Vietnam, costituendo il più ampio studio di questo genere mai condotto. La ricerca aveva come obiettivo studiare come è cambiata la vita di questi bambini nel corso di due decenni per capire meglio che cosa causa la povertà infantile, come alcune politiche influenzano il futuro del bambini  e quindi produrre dei documenti per le istituzioni ai fini di supportarli correttamente nello sviluppo di politiche future davvero mirate a ridurre l’impatto dello svantaggio.

Questi dati hanno permesso ai ricercatori di Oxford di elaborare un elenco di aspetti che ben più del generico “miglioramento della povertà” impattano sul futuro dei bambini nati svantaggiati.

Non tutto il lavoro fa male ai bambini

Il titolo è chiaramente provocatorio: la parte ricca del mondo aborre il lavoro infantile, specie quando impedisce ai bambini di andare a scuola. I dati però hanno mostrato che le famiglie che hanno fatto affidamento anche sul lavoro dei propri figli hanno vissuto successivamente condizioni economiche migliori. Che cosa significa? Significa ancora una volta che considerare gli indicatori meramente economici delle famiglie è uno sguardo decisamente parziale per misurare lo sviluppo di una comunità.

 

I primi 1000 giorni sono fondamentali…

 

I primi mille giorni di vita, cioè dal concepimento fino al compimento del secondo anno, sono determinanti per la salute futura di una persona: un neonato malnutrito ha maggiori probabilità di avere scarse capacità cognitive entro i cinque anni e un bambino che arriva a scuola già svantaggiato rischia di rimanere sempre più indietro man mano che cresce. Sappiamo bene quanto sono importanti i primissimi anni, tanto che anche solo nel nostro paese sono molti i progetti in ambito socio sanitario da nord a sud per il supporto alla maternità che si focalizzano, anche nel nome, sul sostegno nei primi mille giorni. A livello internazionale esiste per esempio il progetto Thousanddays.org  Il ritorno anche economico non è da sottovalutare: si stima che 820.000 vite potrebbero essere salvate ogni anno se più donne fossero sostenute per l’allattamento al seno e che per ogni dollaro investito nel miglioramento della nutrizione per neomamme e bambini in questo delicato periodo produca un ritorno di 35 dollari, anche in termini di malattia evitata.

…ma gli anni dell’adolescenza offrono una “seconda possibilità”

Un altro aspetto sottolineato dai ricercatori è che a quanto pare, contrariamente ai presupposti secondo cui la malnutrizione prolungata comprometterebbe in modo permanente lo sviluppo cognitivo, i bambini che riescono a recuperare fisicamente dopo la prima infanzia fino all’adolescenza, ottengono buoni risultati nei test cognitivi.

Non basta andare a scuola

Chiaramente l’alfabetizzazione e la frequenza scolastica migliorano le possibilità di recuperare lo svantaggio di partenza, mentre l’abbandono scolastico è un driver di svantaggio futuro. Tuttavia, a quanto emerge dalle esperienze di questi bambini monitorati per vent’anni, non è sufficiente aumentare il tasso di scolarizzazione senza garantire che l’istruzione impartita si traduca in una reale autonomia.

Dei bambini intervistati, il 40% non aveva ricevuto un’alfabetizzazione di base fino all’età di otto anni, nonostante frequentasse la scuola, e molti avevano accesso solo a un’istruzione di scarsa qualità.

I matrimoni e le gravidanze precoci bloccano ancora le ragazze

Nel mondo, circa una ragazza su sette fra i 15 e i 19 anni è già sposata, in Africa occidentale addirittura si sale al 27% delle adolescenti sposate (quasi una ragazza su tre). Si stima che nel 2016 il 47% delle giovani in India si sia sposata prima del diciottesimo compleanno e quasi il 60% delle ragazze sposate che hanno partecipato allo studio Young Lives aveva già partorito prima dei 19 anni. Dati che con la pandemia di Covid-19 si stima saliranno per le fasce più svantaggiate. Soprattutto nei paesi più poveri, per una ragazzina adolescente una gravidanza significa il più delle volte esclusione sociale: smettere di frequentare la scuola, scarsa possibilità di un lavoro e problemi di salute legati alla gravidanza precoce e al parto. Anche da questi dati emerge chiaramente che le opportunità di istruzione e occupazione delle giovani madri sono state influenzate negativamente dal matrimonio precoce e dalla gravidanza.

Dati in bilico

Non possiamo leggere queste considerazioni senza valutarle alla luce della pandemia che stiamo vivendo, e che cambierà molti equilibri che capiremo probabilmente solo fra alcuni anni. La stessa Banca Mondiale avverte che la pandemia potrebbe spingere 150 milioni di persone in più in povertà estrema entro il 2021 (cioè persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno) e sarebbe la prima volta in vent’anni che la percentuale di persone che vivono in condizioni di estrema povertà sarà in crescita. Ma al di là di questo indicatore, povertà significherà svantaggio educativo, abbandono scolastico, specie per le ragazze, maggiore difficoltà di accesso ai servizi sia sanitari che sociali.

Avremo bisogno di dati completi, ben raccolti, e differenziati per genere. Oggi più che mai.