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tecnologia

Cosa funziona e cosa no negli open data italiani

L’esperienza pandemica degli ultimi 22 mesi ha reso i dati una parte evidente della vita di ciascuno. Molto banalmente, quello che si potrà o meno fare durante le feste dipende anche dai numeri relativi ai contagi e all’occupazione degli ospedali, quegli elementi che determinano il passaggio da zona bianca a zona gialla. Fortunatamente, i dati non sono solo quelli sanitari. E, quando sono aperti, possono avere un forte impatto economico: uno studio del 2020 dello European data portal stimava il valore di mercato degli open data nel 2019 in qualcosa come 184 miliardi di euro.

E sempre la struttura finanziata dall’Unione europea nei giorni scorsi ha aggiornato al 2021 il suo Open data maturity index, appunto un indicatore che misura la maturità dell’ecosistema dei dati aperti nei paesi europei. Numeri che InfoData ha rappresentato nel grafico che apre questo pezzo.

Di default viene visualizzata la situazione italiana. Ma basta utilizzare il filtro in basso (in alto a sinistra per chi legge da desk). Ogni “petalo” corrisponde ad uno degli indicatori che vengono utilizzati per elaborare l’Open data maturity index, che viene rappresentato dalla linea nera che, se fosse su un orologio, indicherebbe le 12. La lunghezza dei petali corrisponde al punteggio ottenuto nel singolo indicatore rispetto al massimo assegnato per quella specifica categoria. Mentre i colori fanno riferimento alle quattro macrocategorie che vengono valutate, ovvero le politiche in tema di dati aperti, la qualità di questi ultimi, i portali che li pubblicano e il loro impatto.

Come si può notare, l’Italia ha qualche problema rispetto alla qualità degli open data (i “petali” rossi). In particolare, le performance peggiori si registrano in tema di Currency and completeness e Deployement quality and linked data. La prima questione riguarda la frequenza di aggiornamento dei dati, la loro quantità e la disponibilità in forma di serie storiche. La seconda, invece, fa riferimento al fatto che esista un sistema di monitoraggio della qualità degli open data che vengono resi pubblici.

Punteggio pieno, invece, per quanto riguarda l’impatto dei dati aperti. Con la precisazione che qui viene valutata l’implementazione di strumenti che consentano di valutare l’effetto degli open data a livello economico, sociale e ambientale. L’impatto vero e proprio dipende invece da quanto sono completi, aggiornati e diffusi i dati aperti. E sotto questo punto di vista, come insegnano i “petali” rossi, c’è ancora da lavorare.