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Cosa si può fare per contrastare l’antibiotico resistenza?

 

Percentuale di campioni di E. coli completamente sensibili ai farmaci dal 2014 al 2021 (ECDC 2023, p. 107)

L’ultimo rapporto dell’ECDC fornisce una misura nuova dell’antibiotico resistenza negli allevamenti, e che ci permette di dire due buone notizie e una meno buona. Le due buone notizie sono che considerando il complesso dei paesi europei si osserva una tendenza di riduzione della percentuale di batteri multiresistenti presenti negli animali da allevamento, e che anche in Italia riscontriamo un trend favorevole sia per la multiresistenza, che per la prevalenza di Escherichia coli contenenti un enzima che li rende resistente ai farmaci di ultima generazione. Per quest’ultimo aspetto si evidenzia per il nostro paese una riduzione del 27% della presenza di batteri con questo enzima, che sale al 50% nei polli da carne.
La notizia meno buona è che parlare di media europea significa appiattire una situazione estremamente eterogenea, con paesi dove il problema è in crescita.

“Il falso mito, oramai luogo comune ma che non ha fondamenta è invece che gli antibiotici utilizzati finiscano nella carne che viene venduta e che mangiamo. In realtà i residui che riscontriamo nelle nostre analisi sono a livelli irrisori” ci spiega Antonia Ricci, Direttrice dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – IZSVe. “Questo perché i regolamenti obbligano gli allevamenti ad attendere il tempo necessario fra la somministrazione di un antibiotico a un animale malato e la sua macellazione, affinché l’antibiotico venga metabolizzato ed eliminato dall’organismo dell’animale. Uno dei nostri compiti come Istituto Zooprofilattico è proprio svolgere analisi a campione sui residui di antibiotici nelle carni. Inoltre in Italia esiste un monitoraggio su quanti antibiotici vengono usati da ogni allevamento e quando, ad opera di un sistema nazionale chiamato Classyfarm. ”

Che cosa ci dice l’Escherichia coli

I rapporti dell’ECDC considerano i batteri zoonotici, per i quali è noto cioè il contagio da animale a uomo, e non i batteri patogeni per l’uomo che non hanno derivazione animale, come Klebsiella o Pseudomonas, che causano le cosiddette infezioni nosocomiali. La resistenza di questi batteri è una vera emergenza sanitaria, ma non è una resistenza direttamente legata all’uso degli antibiotici negli animali negli allevamenti.

Ma perché si parla sempre di questo Escherichia coli, sebbene non sia un batterio patogeno nell’uomo, dato che vive più o meno tranquillamente nel nostro intestino e in quello di tanti animali?
Perché proprio perché vive in ognuno di noi è un ottimo indicatore della pressione selettiva a cui sono sottoposti i batteri patogeni che deriva dagli antibiotici. È quello che in gergo si definisce “proxy”, ossia un indicatore generico della pressione antibiotica: se un’alta percentuale di E. coli è resistente a una certa classe di farmaco, significa che anche i batteri patogeni lo sono.
Non si usano altri batteri come la Salmonella o il Campylobacter, perché sono sottoposti a campagne di eradicazione e dunque il numero di salmonelle isolate è basso. E. coli invece, vivendo in noi, permette di mettere “alla pari” tutti i paesi.

I due nuovi indicatori dell’Antibiotico resistenza

La novità di questo report, è che contiene due indicatori nuovi. Il primo è la percentuale di microrganismi che sono risultati completamente sensibili a tutto il pannello di antibiotici testato in E. coli, in diverse produzioni animali: suini, avicoli e bovini. La buona notizia di cui parlavamo viene da qui: è risultato che in linea generale stanno aumentando le percentuali di E. coli sensibile a tutte le classi di farmaci. Chiaramente l’indicatore va letto al rovescio: se un batterio è sensibile a un antibiotico, è un bene, quindi più alto è, meglio è. La cattiva notizia è che sussistono enormi differenza fra paesi: nel nord Europa già da anni la percentuale di batteri sensibili ai farmaci è molto alta rapportata alla popolazione animale.

Il secondo indicatore, sempre su E. coli, indica la prevalenza nei batteri di un enzima che se presente inattiva le cefalosporine di terza e quarta generazione, cioè le classi di farmaci fra quelle più potenti che abbiamo. Se il batterio ha questo enzima significa che è resistente a quel farmaco.

“L’Italia ha ancora livelli di sensibilità ai farmaci più bassi rispetto a molti paesi europei, ma con un trend in chiaro miglioramento legato alla netta riduzione dell’uso di antibiotici nel settore zootecnico, stimata essere superiore al 50% negli ultimi 5 anni, in tutte le produzioni zootecniche. È stato eliminato inoltre uso di farmaci di ultima generazione come le cefalosporine e soprattutto da diversi anni è vietato uso antibiotici come promotori della crescita per modulare la flora intestinale e aumentare la produttività. L’uso degli antibiotici negli allevamenti si riduce anche migliorando la gestione degli animali, potenziando la biosicurezza cioè le misure che proteggono gli allevamenti dall’introduzione dei patogeni (igiene, controllo degli accessi, organizzazione dei cicli produttivi).”

Cosa posso fare per contrastare l’antibiotico resistenza?

“La persona più che avere paura degli antibiotici che può assumere mangiando la carne che acquista, dovrebbe essere attenta a non fare uso di antibiotici quando non strettamente necessario.” Vanno usati solo in presenza di infezione batterica acclarata, e quando vengono prescritti, bisogna assumerli per tutto il tempo indicato dal medico. È bene fare anche attenzione all’abuso dei disinfettanti, alcuni dei quali sono in grado di selezionare per la resistenza. “Proveniamo da anni di pandemia in cui abbiamo dovuto abituarci a disinfettare mani e ambienti per evitare il contagio da SARS-CoV-2 – continua Ricci – ma in una situazione meno pericolosa e in assenza di ragioni cliniche, per lavare le mani basta il sapone, e la casa va pulita ma ricordiamoci che non è una sala operatoria.”

Per approfondire. 

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