L’entrata in vigore a partire dal primo gennaio del 2023 della “Quota 103” è la terza possibilità proposta ai lavoratori italiani per fare domanda di pensionamento anticipato, seguendo la strada tracciata inizialmente da “Quota 100” arrivata ad inizio del 2019 e poi da “Quota 102” introdotta tre anni più tardi.
Queste opzioni sono nate, insieme ad altri interventi legislativi come l’ape sociale o l’opzione donna, per cercare di mitigare l’innalzamento dell’età pensionistica che nel 2012, con la riforma Fornero, ha fissato l’età per la vecchiaia a 67 anni con l’anticipata a 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini.
Giusto per mettere in prospettiva questi numeri, fino al 2011 la richiesta per i lavoratori dipendenti (a cui andava aggiunto un anno per i liberi professionisti) era l’allora “Quota 96”, da intendersi come almeno 61 anni di età e 35 di contributi, oppure 60 anagrafici e 36 di lavoro.
Analogamente è da ricordare come anche il fattore demografico abbia giocato un ruolo fondamentale nelle decisioni della politica visto che negli ultimi anni si è oggettivamente assistito ad un invecchiamento della popolazione – dovuto all’aumento della speranza di vita media – rendendo quindi più longevo anche il periodo di riscossione della pensione; dall’altro lato la denatalità in crescita si traduce in un bacino minore di contribuenti andando così a ridurre le entrate nelle casse del sistema pensionistico.
Questo dunque il quadro italiano che si va ad inserire in un disegno globale dove ogni nazione opta per un proprio modello in funzione delle caratteristiche socio-demografiche e di cui noi di Info Data volevamo approfondire alcuni aspetti numerici come nostro solito.
Per farlo ci siamo serviti dei numeri pubblicati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD – Organization for Economic Cooperation and Development) che ha riportato l’età media pensionabile di varie nazioni, nel corso di diverse decadi, suddivise anche tra uomini e donne.
Nei grafici che seguono sono state rappresentate le curve dell’età media di pensionamento sia per uomini (verde) che per donne (rosa) di tutti i paesi per i quali c’è disponibilità dei dati a partire dal 1970, presentando un punto per ogni decade.
In aggiunta, su sfondo nero, è stato fatto un focus sul dato del 2020 per osservare la differenza tra i valori medi di uomini e donne registrati in ogni paese, tenendo come riferimento anche il valore OECD complessivo (esattamente come è stato rappresentato negli andamenti temporali).
Prendendo come riferimento i valori medi complessivi OECD, emerge uno scenario in cui mediamente l’età di pensionamento è tendenzialmente più alta per il sesso maschile e che a livello generale, nell’arco delle sei decadi analizzate, ha visto un trend in diminuzione culminato nei primi dieci anni del nuovo millennio per poi risalire nell’arco degli ultimi venti.
Osservando caso per caso è possibile notare come alcuni paesi siano allineati con la tendenza globale, come ad esempio Belgio, Ungheria, Romania, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti, aventi tutti la medesima progressione nel tempo e un (più o meno lieve) disavanzo sul fronte maschile per l’età media.
Ci sono poi altri scenari in cui la situazione è decisamente diversa con connotazioni sempre differenti.
La Grecia per esempio è caratterizzata da un doppio trend in continua discesa per entrambi i sessi, facendo passare i due valori medi in sei decadi da 64,8 anni a 60,9 per gli uomini e da 61,6 a 58,1 per le donne, in maniera molto simile a quanto verificatosi in Spagna anche se con numeri lievemente superiori specialmente per il 2020 (uomini 61, donne 60,4).
Il Brasile invece è un caso particolarmente significativo in cui nelle prime due decadi l’età media di pensionamento era decisamente più alta per le donne come dimostra il dato degli anni ’70 (donne 70,6 contro 67,9 degli uomini) fino all’inversione di tendenza avvenuta col passaggio al nuovo millennio e che ora vede le lavoratrici brasiliane andare in pensione a 59,2 anni, oltre due in meno rispetto alla controparte maschile.
Una situazione abbastanza simile è quella del Messico anche se già dagli ’90 si è assistito ad un cambio nel trend e che poi, in un quadro in cui l’età pensionabile ha continuato a diminuire, si è attestata nel 2020 su valori particolarmente differenti in senso assoluto rispetto all’inizio delle rilevazioni, avendo assistito ad una diminuzione di circa sedici anni per le donne e dieci per gli uomini.
All’interno di questa analisi, l’Italia si colloca circa a metà dell’elenco essendo caratterizzata da una differenza “in favore” dei lavoratori maschi di un anno esatto (62,3 contro 61,3), in aumento netto di 2,9 anni rispetto al 2010 (rispettivamente 59,4 e 58,4) confermando comunque un andamento in cui – anche nel periodo di maggiore vicinanza (anni ’80 con disavanzo di 0,5 anni) – gli uomini hanno sempre presentato i numeri più alti.
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