Gli interventi chirurgici non prorogabili sono stati grosso modo garantiti durante la pandemia, in tutte le regioni italiane. O meglio: in quasi tutte le regioni non si sono registrate variazioni significative fra il numero di interventi urgenti da fare ed effettivamente eseguiti, dal 2019 al 2021. Questo non significa che le regioni sono in grado di effettuare entro 30 giorni tutti gli interventi che dovrebbero essere garantiti, anzi le differenze regionali sono enormi. Diciamo solo che su questo aspetto non possiamo dare la colpa alla pandemia.
Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, ci ha inviato i dati presenti come grafici nel proprio portale statistico riguardanti l’impatto che la pandemia ha avuto sulle liste d’attesa per interventi oncologici e di area cardio-vascolare di classe di priorità A, che stando al Piano nazionale di governo delle liste di attesa (PNGLA) 2019-2021, prevedono un ricovero entro 30 giorni per i casi clinici che potenzialmente possono aggravarsi rapidamente al punto da diventare emergenti o, comunque da recare grave pregiudizio alla prognosi.
Abbiamo elaborato questi dati relativi al 2019, 2020 e 2021, ed è emerso che per l’area oncologica, regioni come l’Abruzzo, la Basilicata, la Campania, la Sicilia, la Toscana e sorprendentemente anche la Lombardia, hanno addirittura visto migliorare la percentuale di interventi urgenti eseguiti entro 30 giorni, durante la pandemia. In altre regioni come la Calabria, l’Emilia Romagna, la Provincia Autonoma di Trento, la Puglia, la Sardegna, il Veneto, le percentuale di interventi si è abbassata in modo significativo in soli tre anni.
Chiaramente è centrale il punto di partenza. Ci sono regioni che già nel 2019 riuscivano a garantire entro 30 giorni solo una piccola parte degli interventi, altre che presentavano percentuali molto più alte. Sardegna, Campania, Liguria e Umbria si fermavano al 50-60% degli interventi garantiti in area oncologica, mentre il Veneto, la provincia di Bolzano, la Toscana, la Calabria e il Molise superavano ampiamente l’80%.
Quali interventi vengono differiti maggiormente
Agenas ci ha inviato anche il dettaglio per tipo di intervento effettuato, ed emerge un’enorme variabilità regionale, dovuta presumibilmente anche alla mancanza di personale assunto. Per una coronografia oltre la metà dei lucani che dovrebbe essere trattata d’urgenza aspetta oltre 30 giorni, come il 45% dei marchigiani, mentre in Campania, Abruzzo, Emilia Romagna, Puglia e Veneto, nove persone su dieci vengono prese in carico per tempo.
In Sardegna solo una donna su tre è stata trattata per tumore alla mammella entro 30 giorni, come la metà delle umbre, delle liguri e delle trentine. A Bolzano siamo al 97% di donne operate entro 30 giorni, in Veneto al 94%, in Abruzzo al 92%. Per il tumore all’utero, aspettano oltre 30 giorni la metà delle sarde, e quasi quattro abruzzesi e marchigiane su deci. In realtà parlare di “abruzzesi” o “marchigiane” ha poco senso, alla luce degli spostamenti interregionali: si va dove si pensa di poter essere trattati prima o meglio.
Per il tumore al polmone, troviamo gap rilevanti ad esempio fra Campania (il 45% è trattato entro 30 giorni) e Basilicata, provincia di Bolzano e Trento, Sicilia e Sardegna, dove si supera il 90% di presa in carico per tempo. Molto migliori gli output rispetto al tumore del colon: la regione con la percentuale minore di persone trattate entro 30 giorni è il Friuli che si assesta al 77%, mentre la maggior parte delle regioni supera il 90%.
Quanti interventi nel pubblico e quanti nel privato accreditato
Un ulteriore aspetto interessante di questi dati è che distinguono le performance del pubblico e del privato accreditato. Risultato: per l’area oncologica il privato accreditato ha potuto garantire molte più prestazioni, in termini percentuali sull’atteso, di quanto è riuscito a fare il pubblico, sia in pre-pandemia che durante. In alcune regioni addirittura si sfiora il 100% delle prestazioni.
In realtà ogni regione va analizzata separatamente in tal senso, perché in alcuni casi il privato accreditato pesa poco sul totale dei volumi di interventi, mentre in altre regioni rappresenta una fetta simile al pubblico. In Emilia Romagna, ad esempio, nel 2019 sono stati effettuati per l’area cardio-vascolare 4.335 interventi nel privato accreditato e 4.475 nel pubblico. Nel 2021 4.300 nel privato accreditato e 3.970 nel pubblico. In area oncologica, il divario è molto maggiore: 436 interventi contro 10.453 nel 2019, 381 contro 9.582 nel 2020 e 297 contro 10.657 nel 2021.
In Calabria, nell’area cardio-vascolare nel 2019 erano stati effettuati 1.740 interventi nel privato accreditato e solo 802 nel pubblico. Nel 2021 la situazione si è ribaltata: 498 nel privato accreditato e 1.171 nel pubblico. Per l’area oncologica il privato pesa in Calabria più che in Emilia, con 455 interventi contro 900 del pubblico nel 2019, e 335 contro 833 nel 2021.
In Sicilia siamo a 3.696 interventi nel privato accreditato e 4.143 nel pubblico per l’area cardiovascolare solo nel 2021, e a 3.007 conttro 3.952 per quella oncologica.
In Lombardia il privato accreditato pesa per l’urgenza quasi quanto il pubblico, con 11.517 interventi in area cardiovascolare nel 2021, contro gli 8.403 del pubblico, e 10.542 in area oncologica, contro gli 11.870 del pubblico. Al contrario, in Toscana, il privato in area oncologica ha un peso esiguo: appena 120 interventi eseguiti nel 2021, contro i 9.026 del pubblico. Lo stesso per l’area cardio-vascolare: 1.159 interventi contro 3.932.
Questi dati dettagliati regione per regione si possono navigare qui.