“È meglio se scegli un istituto professionale, così almeno ti tieni aperte più opportunità. Con il liceo dovrai andare all’università, e chissà se poi troverai lavoro”. Molte famiglie articolano ancora oggi questo pensiero ai propri figli, in buona fede. Chi lo nega, è perché non frequenta molto i bar di provincia, i centri di aggregazione del dopo lavoro, le fabbriche.
Eppure oggi questa equazione sembra essere falsa. Stando a una recente nota Istat, nel 2022, il tasso di occupazione dei laureati raggiunge l’83,4%, valore superiore di 11 punti a quello dei diplomati (72,3%) e di 30 punti a chi ha conseguito al più un titolo secondario inferiore (53,3%). Si conferma, dunque, l’evidente “premio” occupazionale dell’istruzione, in termini di aumento della probabilità di essere occupati al crescere del titolo di studio conseguito. Fra le giovani donne il vantaggio occupazionale dato dall’aver studiato di più è decisamente più evidente che fra i ragazzi della stessa età. Il tasso di occupazione delle laureate è di 23,5 punti più elevato rispetto a quello delle diplomate, differenza che si riduce a 18,4 punti tra le 25-64enni e a 14,3 punti nella media Ue.
C’è di più. In Italia, il tasso di occupazione dei giovani in transizione dalla scuola al lavoro nel 2022 è aumentato, raggiungendo il 56,5% tra i diplomati (+6,6 punti rispetto al 2021) e il 74,6% tra i laureati (+7,1 punti). A tale aumento si affianca un importante calo dei tassi di disoccupazione, che scendono al 23,7% tra i diplomati e al 12% tra i laureati. La ripresa nel nostro paese è stata decisamente più sostenuta rispetto a quella media Ue e fra gli altri grandi Paesi europei.
Un quarto dei figli di non diplomati abbandona ancora gli studi
Il problema è che chi proviene da famiglie dove i genitori non hanno un titolo di studio elevato tende ancora oggi a conseguire titoli di studio meno elevati. Quasi un quarto (24,1%) dei giovani 18-24enni con genitori aventi al massimo la licenza media, ha abbandonato gli studi prima del diploma, quota che scende al 5,3% se almeno un genitore ha un titolo secondario superiore e al 2,5% se laureato.
Nelle famiglie con almeno un genitore laureato, la quota di figli 25-34enni che hanno conseguito un titolo terziario è pari al 67,6%, se almeno un genitore è diplomato cala al 39,1% e scende al 12,3% quando i genitori possiedono al più un titolo secondario inferiore. L’associazione tra contesto familiare e titolo di studio è meno stretta per le giovani donne; la quota delle figlie con titolo terziario nelle famiglie con elevato livello di istruzione è infatti oltre quattro volte superiore a quella registrata nelle famiglie con bassi livelli di istruzione, mentre tra i loro coetanei maschi la differenza sale a oltre sette volte.
Chi abbandona gli studi non trova lavoro
Chi abbandona gli studi trova molto meno lavoro. Esiste un acronimo – ELET – per indicare questo gruppo. Nel 2022, il tasso di occupazione (parliamo chiaramente di lavoro regolare) di questi ragazzi e ragazze è pari al 39%, inferiore di circa sette punti a quello medio UE (45,8%). Tra i 18-24enni che hanno conseguito una qualifica o un diploma il tasso di occupazione è, infatti, di 18,7 punti superiore a quello degli ELET (raggiunge il 57,7%) ed è più bassa la quota di non occupati tra quanti sono disponibili a lavorare (33,3% rispetto al 49,5% tra gli ELET).
Chiaramente il livello occupazionale dipende dal titolo di studio terziario conseguito; vi sono lauree con tassi di occupazione a cinque anni ancora molto più bassi di altri. Nel 2022, il tasso di occupazione tra i 25-64enni laureati nell’area Umanistica e dei servizi è pari al 77,7%, sale all’83,7% per i laureati nell’area Socio-economica e giuridica, si attesta all’86% per le STEM e raggiunge il massimo valore (ben l’88%!) tra i laureati nell’area Medico-sanitaria e farmaceutica.
Nel 2022, il 23,8% dei giovani adulti (25-34enni) con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). La quota sale al 34,5% tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 16,6% tra le donne (una laureata su sei), evidenziando un importante divario di genere. Differenze territoriali per i laureati in discipline STEM sono evidenti per la sola componente maschile: la quota varia dal 29,7% del Mezzogiorno al 37,7% del Nord.
“Qualcuno dovrà pur fare l’operaio!”
Il punto è – lo abbiamo rilevato anche in altre occasioni – che si intende l’istruzione come qualcosa di alternativo ai lavori considerati “manuali”. “Qualcuno dovrà pur fare l’operaio”. Vero, qualcuno dovrà entrare ad esempio nella manifattura. Ma anche la fabbrica sta cambiando, profondamente. I macchinari diventano sempre più complessi, così come la logistica. Il futuro prevederà sempre più capacità di confrontarsi con il digitale, con sistemi di cloud computing, con macchinari complessi, e con l’inglese.
Il titolo di studio degli adulti italiani, oggi
In Italia, nel 2022, il 63% dei 25-64enni ha almeno un diploma, valore simile a quello della Spagna (64,2%), ma decisamente inferiore al tedesco (83,2%), al francese (83,3%) e a quello medio Ue27 (79,5%). Tra i 25-64enni, anche la quota di chi ha conseguito un titolo di studio terziario (20,3%) è più bassa della media europea (20% contro 34%) ed è circa la metà di quella registrata in Francia e Spagna. Al Sud è laureato meno di un giovane su quattro contro oltre tre giovani su 10 nel Centro e nel Nord.
In Italia ci sono molti meno giovani con titolo di studio terziario rispetto al resto d’Europa, ma non significa che abbiamo meno laureati. La quota di giovani adulti in possesso di un titolo di studio terziario si attesta al 29,2% tra i 25 e i 34 anni, ma resta decisamente lontana dall’obiettivo europeo del 45%. In particolare, tra i giovani 25-34enni, il valore italiano è decisamente inferiore alla media europea (42,0% nell’Ue27) e molto al di sotto dei valori di altri paesi (50,4% Francia, 50,5% Spagna e 37,1% Germania). Questa distanza trova ragione anche nella limitata disponibilità, in Italia, di corsi terziari di ciclo breve professionalizzantii, erogati dagli Istituti Tecnici Superiori, che in altri Paesi europei forniscono una quota importante dei titoli terziari conseguiti.