Chi si occupa di inquinamento, clima e impatto sulla salute sa bene che è uno dei settori dove è più complesso avere delle risposte. Un po’ come accade con la valutazione dell’impatto di certi alimenti sulla salute: non è facile isolare la responsabilità di un singolo fattore nell’eziogenesi di una malattia. Per questo a seconda di come è disegnato lo studio le stime più dettagliate cercano di essere, più differiscono fra loro. Ciò che invece è chiaro da una letteratura scientifica oramai copiosa è che l’inquinamento dell’aria ha un impatto negativo sulla salute. Non sappiamo con certezza quante morti sono attribuibili all’inquinamento atmosferico, ma sappiamo che una parte dei decessi e del cosiddetto “burden” di malattia, cioè del numero di diagnosi di malattie croniche o infettive è correlato con l’inquinamento.
Non a caso nel 2021, in risposta all’aumento della qualità e della quantità delle prove degli impatti dell’inquinamento atmosferico, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiornato le sue linee guida sulla qualità dell’aria per la prima volta dal 2005. Questo aggiornamento si basa su una revisione sistematica delle ultime prove scientifiche che delineano come l’inquinamento atmosferico influisce sulla salute umana. L’aggiornamento dimezza il livello di PM 2,5 (le cosiddette “polveri sottili”) della precedente linea guida del 2005 portandolo da 10 µg/m3 a a 5 µg/m3.
Nel 2019, il 99% della popolazione mondiale viveva in luoghi in cui i livelli più severi delle linee guida sulla qualità dell’aria del 2021 dell’OMS non erano soddisfatti.
Inquinamento e morti in Italia
Il più recente rapporto UNEP (l’agenzia ONU per la protezione dell’ambiente) disponibile sull’argomento stima che ogni italiano nel 2019 è stato esposto a una media annuale di 16 µg/m3 di PM2.5, ossia 3,2 volte la soglia fissata dalle linee guida dell’OMS. Questo avrebbe significato 41 morti ogni 100.000 imputabili all’inquinamento da polveri sottili nel 2019, un totale di 24.666 decessi. Nel dettaglio il 14% delle morti per diabete di tipo 2 nel 2019 sarebbe attribuibili all’inquinamento atmosferico esterno da particelle sottili, così come l’11% di quelle per cancro alla trachea, ai bronchi e ai polmoni, il 10% dei decessi per broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’8% delle morti per ictus e per infezioni alle vie respiratorie inferiori e cardiopatia ischemica e il 6% per disturbi neonatali. Chiaramente questi dati sarebbero davvero utili dal lato pratico se fossero granulari, cioè se si potesse sapere il dato per ogni provincia italiana, dato che i tassi di inquinamento atmosferico variano sensibilmente da zona a zona, come evidenzia ad esempio l’annuale rapporto Mal’aria di Legambiente.
Nel complesso, rileva UNEP, l’Italia ha raggiunto 4 obiettivi su 9 fissati a livello internazionale. È sufficiente selezionare il nostro paese nella barra di ricerca a metà dell’articolo di UNEP per visionare i dati specifici.
Il ruolo del combustibili fossili
Il 29 novembre 2023 la prestigiosa rivista British Medical Journal (BMJ) ha pubblicato un articolo dal titolo Air pollution deaths attributable to fossil fuels: observational and modelling study, il quale stima i decessi per tutte le cause attribuibili all’inquinamento atmosferico correlato ai combustibili fossili e prova a valutare i potenziali benefici per la salute derivanti da politiche che sostituiscono i combustibili fossili con fonti di energia pulite e rinnovabili. Si tratta di uno studio osservazionale, dove cioè ci si limita ad osservare i fenomeni senza intervenire direttamente.
Le fonti dei dati sono il Global burden of disease 2019, che è il più grande database oggi in uso sul carico globale delle malattie, mentre i dati osservativi sul particolato fine e sulla popolazione provengono dai satelliti della NASA.
A livello globale si stimano 8,34 milioni di morti in eccesso dovute all’inquinamento atmosferico da particolato fine e ozono. La metà di queste sono correlate a condizioni cardiometaboliche, in particolare alla cardiopatia ischemica, che rappresenta il 30% del totale. L’ictus e la broncopneumopatia cronica ostruttiva rappresentano entrambi il 16% del carico di mortalità.
In tutto questo i combustibili fossili avrebbero un ruolo non secondario. Si stima che circa 5,13 milioni di morti in eccesso ogni anno a livello globale siano attribuibili all’inquinamento atmosferico dovuto all’uso di combustibili fossili e pertanto potrebbero essere potenzialmente evitati eliminando gradualmente i combustibili fossili.
Queste apparse su BMJ sono stime molto più elevate rispetto alla maggior parte degli studi precedenti. La più recente nota di UNEP citata in apertura si basa su altre stime accreditate e parla di 7 milioni di morti premature ogni anno dovute all’inquinamento atmosferico.
Cosa sta facendo l’Europa per migliorare la qualità dell’aria?
I dati di sintesi dei livelli di inquinamento dell’aria in Europa li troviamo ad esempio nel rapporto Health impacts of air pollution in Europe, 2022 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA). L’esposizione a concentrazioni di particolato fine superiori al livello delle linee guida dell’OMS del 2021 ha provocato 238.000 morti premature; l’esposizione al biossido di azoto superiore al rispettivo livello guida ha portato a 49.000 morti premature, mentre l’esposizione acuta all’ozono avrebbe causato 24.000 morti premature.
C’è una notizia positiva: nel 2020, il numero di morti premature attribuibili all’esposizione a particolato fine è superiore al livello delle linee guida dell’OMS è diminuito del 45% nell’UE-27, rispetto al 2005. Se questo tasso di declino verrà mantenuto, l’UE raggiungerà il suddetto obiettivo del piano d’azione per l’inquinamento zero prima del 2030, che mira a ridurre del 55% entro il 2030, rispetto al 2005, il numero di morti premature dovute all’esposizione a particolato fine.
Nel dicembre 2019, nell’ambito del Green Deal europeo la Commissione europea si è impegnata a migliorare ulteriormente la qualità dell’aria e ad allineare maggiormente le norme dell’UE in materia di qualità dell’aria alle nuove raccomandazioni OMS del 2021. L’obiettivo di un maggiore allineamento ai più recenti risultati scientifici è stato confermato nel piano d’azione per l’inquinamento zero, nel quale si prevede, entro il 2050, di ridurre l’inquinamento dell’aria, nonché dell’acqua e del suolo, a livelli che non siano più considerati nocivi per la salute e gli ecosistemi naturali e che rimangano entro limiti che il nostro pianeta può sostenere, così da creare un ambiente privo di sostanze tossiche. Sono stati inoltre introdotti traguardi per il 2030, due dei quali sull’aria: ridurre di oltre il 55% gli effetti nocivi sulla salute (decessi prematuri) dell’inquinamento atmosferico e la percentuale di ecosistemi dell’UE nei quali l’inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità del 25%.